Nel 2016 riparte il mercato delle acquisizioni nell’industria del lusso. L’Italia (come sempre) è centrale e non più solo vittima

Una cosa è certa: l’Italia si conferma il terreno prediletto di scontro nell’arena delle fusioni e acquisizioni nell’industria del lusso. E non si pensi che le imprese nostrane, nelle disfida, interpretino solo il ruolo degli agnelli sacrificali: in tutte le operazioni di merger & fusion condotte nel 2016 su scala globale, solo il 7% ha riguardato griffe dello Stivale assorbite da soggetti esteri. Il 13%, di converso, è stato condotto a termine da brand tricolori che hanno comprato società internazionali, mentre il 25% riguarda operazioni intra-italiane. Lo sostiene il report annuale sullo scenario M&A di Pambianco Strategie d’Imprese. Sono ancora lontani i numeri monstre del 2012-2013, quando si veleggiava stabilmente sopra le 100 operazioni annue. Ma il 2016 con 96 acquisizioni-fusioni si conferma un anno ben più vitale dei precedenti, quando se ne erano registrate rispettivamente 75 nel 2015 e 89 nel 2014. Se da un lato si conferma la preminenza delle holding e dei fondi di private equity, autori del 40% delle operazioni, dall’altro nel 2016 spicca anche una novità: le acquisizioni non riguardano più in prevalenza società a monte nella filiera, ma brand a valle. Secondo gli analisti di Pambianco, la ripresa dei movimenti nell’anno appena chiuso è stata determinata dallo scenario internazionale: in un momento di volatilità delle Borse e di scarsa appetibilità di certi strumenti finanziari (come i titoli di Stato), per le società con buona liquidità l’investimento migliore dei propri capitali si conferma l’acquisto di brand dall’alto potenziale di crescita.

CONTENUTI PREMIUM

Scegli uno dei nostri piani di abbonamento

Vuoi ricevere la nostra newsletter?
iscriviti adesso
×