No, il messaggio non è: “Piccolo è ancora bello”. Roberto Costa, head of global luxury and fashion investment banking di Citi, vuole piuttosto chiarire che non c’è un unico modo per crescere. Anche nell’attuale scenario di mercato, una PMI della moda può credere in un percorso di sviluppo da seguire in autonomia. Per crescere “certamente le aggregazioni aiutano – dice a il Sole 24 Ore –, così come la finanza può giocare un ruolo”. Ma l’apertura del capitale o la cessione della maggioranza della società “è una delle strade percorribili” da parte delle imprese della moda, “non l’unica”.
In ritardo? Mica tanto
Costa vuole innanzitutto sgombrare il campo da un cliché: il ritardo atavico delle aziende italiane. “Negli ultimi anni i marchi italiani dell’alto di gamma hanno fatto progressi enormi – dice –: aggregazioni laddove erano necessarie, sono cresciuti sui mercati internazionali, hanno introdotto le seconde generazioni e anche manager esterni”. È anche in virtù di questa forza organizzativa che i gruppi internazionali, quando acquisiscono brand nostrani, lasciano qui le produzioni. Certo, c’è il tema dei capitali: “Sì, mancano quelli italiani, ma abbiamo aziende fantastiche capaci di attrarre quelli esteri”.
Non è l’unico modo
“Spesso leggo questa critica – continua il manager di Citi –, che i marchi italiani non sanno fare aggregazioni, ma non è così: anche i francesi non le hanno mai fatte, hanno semmai fatto acquisizioni”. Già, perché la sigla per definire è unica: M&A. Ma dentro ci finiscono deal di natura diversa: le fusioni, cioè quelle tra player paritetici, e le acquisizioni, dove invece un soggetto ne annette un altro. In ogni caso, Costa ci tiene a ribadire che per le PMI in crescita queste operazioni “non sono necessarie”. Anzi. “Credo sia conclusa la fase in cui fusioni o acquisizioni erano la strada obbligata – conclude –. I marchi italiani possono stare da soli e crescere sulle proprie gambe”.
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