Antonio Amato: così insegno i miei 50 anni di pelletteria

Antonio Amato: così insegno i miei 50 anni di pelletteria

“In un corso di 300 ore trasmetto ai ragazzi i miei 50 anni di lavoro. L’insegnamento è passare la tua esperienza”. È così che Antonio Amato sintetizza il suo ruolo di “maestro pellettiere”. Dopo una vita a ideare e realizzare borse e accessori, il pellettiere (classe 1950) è diventato docente di quell’arte che tanto lo appassiona. “Ho una manualità naturale – racconta -: dipingo per hobby, ho scolpito. Mi è sempre tornato facile fare borse”. Originario di Caselle in Pittari (Salerno), è approdato in Toscana negli anni ’70 dove ha sposato Sandra: compagna di vita e di lavoro. Con lei, che già lavorava nel settore della pelletteria, ha aperto un’attività a Fucecchio (Firenze) come terzista e, dopo 10 anni, ha lanciato  il marchio Pelletteria Mercanti. Nel 2017 è andato in pensione, chiudendo l’attività, per dedicarsi a tempo pieno all’insegnamento. Da tre anni insegna pelletteria all’ITS MITA di Scandicci. In questa intervista ci racconta il suo percorso, spiegandoci come i ragazzi abbiano bisogno, soprattutto, di qualcuno che creda in loro.

La storia di Antonio Amato

Come ha iniziato a insegnare pelletteria?

Oltre ad avere la mia attività, ho sempre insegnato. Già dagli anni ’80 avevo iniziato a fare scuola a ragazzi a Santa Croce sull’Arno. Poi ho tenuto un corso a Firenze per alcuni anni e sono stato a insegnare anche a Napoli, sempre tramite agenzie formative. Mi sono occupato anche del controllo qualità nei laboratori di alcune griffe nell’area fiorentina.

È difficile il mestiere dell’insegnante?

Man mano che passa il tempo divento più esperto con i giovani. Siamo noi che insegniamo loro, ma anche loro insegnano a noi. C’è una bella comunicazione. Ci sono ragazzi davvero curiosi, che ti chiedono qualsiasi cosa.

Qual è il modo migliore per approcciarsi agli studenti?

Bisogna spronarli e stargli addosso. Ma senza stressarli troppo, perché sennò abbandonano. Se li segui e gli trasmetti ispirazione, si appassionano. Imparare a fare qualcosa con le mani è una cosa che li affascina: la maggior parte delle volte è una cosa che non avevano mai fatto prima.

 

 

Dobbiamo spiegargli tutto

Sono cambiati i ragazzi da 40-50 anni fa a oggi?

Sì, noi da giovani eravamo molto più educati. Oggi c’è meno rispetto per la figura degli insegnanti.

I ragazzi conoscono la pelle?

La pelle non la conoscono nel modo più assoluto. Cerco di fargli capire i diversi tipi di pellame, le caratteristiche, la sottopelle. Sono curiosi, ma non sanno da che animale proviene, che particolarità ha. Dobbiamo spiegargli tutto.

Come s’insegna a diventare pellettieri?

Io li faccio partire da un disegno. Che va saputo leggere. Da come s’interpreta il disegno si fa il modello e si passa a tutta la lavorazione per arrivare al prototipo. Li faccio cucire e conoscere tutti i macchinari che occorrono, come la scarnatrice e la sbassatrice.

Il valore artigianale

Cosa sognano di diventare i suoi allievi?

I ragazzi non vogliono restare operai al banco, vogliono diventare qualcosa di più. Vogliono fare i prototipi, che sono le nuove creazioni. In tanti aspirano a ruoli più specifici, come il controllo qualità.

Il lavoro artigianale è percepito come un valore?

C’è chi se la cava meglio e chi non si è mai messo alla prova con il lavoro manuale. Io cerco di seguirli e di aiutare chi ne ha bisogno. Vedi la buona volontà, c’è la spinta a realizzare qualcosa. Si vede la voglia di esprimersi in quello che si fa. Ci tengono tutti, per esempio, a portare il primo oggetto realizzato ai genitori. E c’è chi mi ha confessato: “Mai avrei pensato di riuscire a fare una cosa così!” È una bella soddisfazione, sentirselo dire.

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