La pelle è disruptive? Lo può sicuramente essere, a patto che comunichi al meglio verso l’esterno tutto il mondo che si nasconde dietro – o “a valle” – del processo conciario. L’ultimo numero de La Conceria interroga il lettore sulla possibilità della pelle di rispondere alla sfida innovativa che coinvolge l’industria della moda. Gli espositori di Lineapelle 97 rispondono accendendo i riflettori sul processo e, ancora di più, sulla capacità di comunicarlo. Per “rompere” gli schemi i protagonisti dell’intera filiera devono insomma raccontare la propria storia e i propri sforzi, vale a dire quello di un’attività che nasce recuperando lo scarto di un’altra industria e i cui scarti, a loro volta, diventano materia prima per il mondo del re-cycling.
Raccontare il processo
“La pelle è già di per sé riutilizzo di un sottoprodotto, mentre gli scarti di lavorazione sono a loro volta riusati per ridurre a zero l’impatto sull’ambiente – commenta Sandra Testai, titolare della Conceria Anaconda -. Non c’è cosa che copre di più, più durevole e naturale della pelle per vestire. Noi da anni facciamo test su test per garantire che i materiali non siano nocivi e che non danneggino al contatto chi li indossa”. Perché la pelle sia disruptive, secondo l’amministratore delegato di Conceria Faeda, Alberto Caneva, “è prima necessario che cresca la consapevolezza nell’acquisto da parte dei clienti. Oggi in molti parlando di eco-pelle, ma non si capisce di cosa parlino. Io gliel’ho chiesto, mi hanno risposto che non inquina – continua l’imprenditore -. Ecco, per me è molto più naturale la tradizione, e allora il mondo della concia deve continuare a lavorare con attenzione verso l’ambiente e comunicarlo”.
Premiare il merito
Far crescere la consapevolezza vuol dire anche arrivare al punto in cui le aziende più attente al rispetto dell’ambiente siano riconosciute come tali. “Non è possibile che i prodotti delle aziende europee, italiane in particolare, che sono super-normate, siano messi nello stesso calderone insieme a quelli di certi Paesi asiatici – commenta Rocco Finco, responsabile Finanza e Controllo alla Conceria Finco 1865 -. Per cui mi auguro che la pelle possa essere presto disruptive, ma non lo potrà essere prima di tre o quattro anni, quando ci accorgeremo che tra i rifiuti da smaltire ci sono sedili di plastica e sneaker senza un minimo di pelle“.
Storia, natura
“Il nostro è il prodotto più vecchio del mondo ed anche il più ecologico, dà luogo ad un’economia circolare che purtroppo non è così nota ai consumatori, al contrario ancora è percepita come inquinante e generatrice di sofferenza per gli animali”. È la riflessione di Carlo Ramponi, responsabile produzione della conceria Stefania, in merito alla domanda che ci siamo posti: la pelle è disruptive? Lo è quindi nel prodotto e può esserlo anche nel processo. “La strada da seguire è quella dello sviluppo di prodotti chimici sempre più light per un processo pulito, facendo in modo che tutti rispettino le norme esistenti che sono corrette per il nostro comparto. Da parte delle imprese non deve cessare lo sforzo di comunicare meglio tutto ciò che viene messo in campo e che non siamo abituati a esternare”. (ac/art/mvg/rp)