“Lo sforzo di aprirci la strada nel mercato del lusso non si è rivelato d’aiuto per il nostro business”. È con poche e lapidarie parole che Mark Langer, ceo di Hugo Boss dallo scorso maggio (nella foto), accenna al futuro del brand tedesco: addio al top di gamma e ritorno al segmento premium. Stando alla sua prima intervista concessa a un quotidiano tedesco e rilanciata da Reuters, il nuovo amministratore delegato intende chiudere gli store meno redditizi e ridurre i costi di 50 milioni di euro annui. In questo senso, allora, si comprende pure perché ai primi di ottobre la griffe abbia rinunciato alla possibilità di aprire una nuova boutique in Galleria Vittorio Emanuele II a Milano (leggi qui la notizia). La mossa non significa solo sconfessare la gestione del precedente ceo, Claus-Dietrich Lahrs, che aprendo più di 400 boutique nel mondo e aumentando la spesa nel womenswear ha provato ad affermare Hugo Boss nel lusso. È anche la spia di come le griffe reagiscono alla nuova congiuntura del lusso, che dopo un lustro di crescita double digit ha rallentato e sembra destinato a normalizzarsi su trend di crescita da +2/3%. Nell’ultimo anno gli analisti hanno spiegato che, mentre il cosiddetto hard luxury manteneva il suo profilo e premium e accessibile continuavano a crescere, era il prodotto aspirazionale a soffrire di più la congiuntura sfavorevole di mercato. Cornice che, stando agli esperti, avrebbe spinto le griffe ad elevare il proprio posizionamento verso il lusso assoluto. Con Hugo Boss abbiamo il primo esempio di un brand che si pone l’obiettivo opposto. La salvezza, a quanto pare, si trova anche in basso. (rp)
TRENDING