Il lusso ha un problema: si chiama scorte. Il modello di business che prevede la produzione in eccesso insieme alla crescita dimensionale del settore hanno fatto lievitare volume e valore delle rimanenze di magazzino. Secondo Business of Fashion, quelle di Kering e LVMH sono più che raddoppiate tra il 2014 e il 2023, anno in cui il valore ha raggiunto i 4,7 miliardi di euro. In crescita rispetto ai 4 miliardi del 2022. Un vero e proprio “allarme invenduto”: come gestirlo?
Allarme invenduto
Secondo i bilanci del 2023, LVMH aveva 3,2 miliardi di euro di scorte, erano 2,7 miliardi nel 2022. In altre parole, meno del 4% del fatturato complessivo del gruppo. La multinazionale francese ha dichiarato che i prodotti rimasti in magazzino sarebbero stati “probabilmente venduti” nel corso del 2024. Nel 2023 Kering ha segnalato un valore delle rimanenze di 1,5 miliardi di euro (1,3 miliardi nel 2022) pari all’8% delle entrate. Per entrambeii gruppi il valore del magazzino al termine dell’esercizio finanziario include le materie prime, i semilavorati e i prodotti finiti. Complessivamente, scrive Business of Fashion, tra Kering e LVMH ci sono centinaia di migliaia, se non milioni, di prodotti invenduti.
4,7 miliardi di euro di rimanenze
L’incremento delle scorte è implicito nel modello di business del lusso (e della moda più in generale) che prevede la massima efficienza produttiva per ottenere maggiori economie di scala. Ma essendo un settore soggetto alle tendenze moda risulta difficilissimo allineare domanda e offerta. Inoltre, spiega BoF, produrre in eccesso è considerato meno costoso che perdere vendite a causa di un prodotto non disponibile. Siccome, poi, i grandi player del lusso sono cresciuti a dismisura negli ultimi dieci anni, proporzionalmente è cresciuto anche il valore del loro inventario. Oggi, però, è scattato un vero e proprio “allarme invenduto”, soprattutto perché non pare esserci una soluzione. Almeno a breve., il che per la filiera di fornitura, a tutti i livelli, rappresenta l’anticamera del soffocamento, come dimostra l’attuale situazione di molti distretti produttivi italiani.
Molto difficile trovare una soluzione su larga scala
Per smaltire l’invenduto non bastano le iniziative attuate in passato. Per esempio: le vendite al personale, agli amici e sostenitori del marchio, le private sales e gli outlet. In passato l’invenduto è stato anche distrutto per evitare di intaccare l’immagine del brand. Ora questo è vietato in Francia e presto lo sarà anche in Europa. “È un grosso problema per l’industria“, dice a BoF Claudia D’Arpizio di Bain & Company. “Se sei un grande marchio e disponi di molto inventario, è molto difficile trovare una soluzione su larga scala”. (mv)
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