Giorgio Armani prepara il ritorno ai défilé in presenza. Certo, di un pubblico ridotto, selezionato e disposto nel rispetto delle normative anti–Covid vigenti. Ma che la maison che per prima a febbraio 2020 ha preferito, per prudenza, tenere una sfilata senza audience in loco, il ritorno all’esperienza fisica ha un grande valore simbolico. D’altronde, come spiega a MFF, Armani (a sinistra, nella foto Imagoeconomica) in persona è convinto che solo in virtuale la moda “non può sopravvivere a lungo”. Appuntamento, allora, per il 21 giugno a Milano e, poi, per il 6 luglio a Parigi, negli spazi dell’ambasciata italiana.
Solo in virtuale
“Grazie alla campagna vaccinale la situazione sta visibilmente migliorando – riconosce Armani –. Questo ci consentirà, anche se il condizionale è d’obbligo, di ritornare a pensare concretamente alle sfilate in presenza”. In questo graduale, prudente, ma ineluttabile ritorno al fisico c’è un passaggio fondamentale: “Ho anche maturato la certezza che la moda – continua il designer –, in forma esclusivamente virtuale, non può sopravvivere a lungo”. I format phygital sperimentati negli ultimi 15 mesi di sicuro hanno insegnato qualcosa, soprattutto nei termini di un ampio coinvolgimento dei fan della griffe. Ma l’alta moda non può rintanarsi nell’etere.
Ma non torni tutto com’era
Quando è scoppiata la pandemia, Armani per primo ha parlato della necessità dell’alta moda di rigenerarsi. In prima battuta, molti gli hanno dato ragione. Non si può dire, però, che si sia vista la rivoluzione slow tanto auspicata. “La moda sta tornando dove eravamo – commenta re Giorgio –. Ma ridare valore al nostro lavoro è una priorità a cui non possiamo rinunciare. Per farlo, dobbiamo fare collezioni che valgono e che durino, non produrre merce che dopo pochi mesi non significa nulla. Ci sono state molte dichiarazioni iniziali di nuova responsabilità, anche ambientale, e salvifiche contrazioni di offerta, ma mi sembra che stiamo lentamente tornando dove eravamo, anche con il numero di collezioni e di uscite”. I brand si devono aiutare da soli, in questo senso, con “una maggior durata delle collezioni in negozio”. Ma hanno anche bisogno del governo, “e non solo in un momento come questo – conclude –. La moda è una delle voci principali della nostra economia e non dovrebbe essere considerata in una posizione secondaria, nella quale tutto è affidato all’iniziativa del singolo”.
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