Se Chanel, rinunciando all’impiego di pelli esotiche perché insoddisfatta dalle garanzie di sostenibilità e di tracciabilità offerte dai fornitori, pensava di fare un favore al regno animale, si sbaglia di grosso. La sua è solo una “scelta sciatta” che per “un ironico rovesciamento” del rapporto causa-effetto porterà al risultato opposto a quello auspicato. Dicendo basta alle pelli di coccodrillo, lucertola, razze e serpenti, cioè, Chanel pregiudica le condizioni economiche che rendono vantaggioso in tante parti del mondo la preservazione dell’ecosistema locale e, allo stesso tempo, mina la solidità delle comunità che su certe attività basano il proprio equilibrio sociale. La stroncatura della mossa voluta dal presidente Bruno Pavlovsky arriva dai vertici di IUCN, l’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura, organizzazione non governativa fondata nel 1948 e dal 1999 in seno all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite con lo status di osservatore. Dalle colonne di Business of Fashion, dicevamo, IUCN rovescia i due convincimenti di cui si arma chi fa una scelta come quella di Chanel. Si tutelano le specie animali? Niente affatto. “In tutto il mondo si moltiplicano progetti di tutela e conservazione delle specie selvatiche propiziati da CITES – si legge – che riguardano anche l’uso sostenibile delle pelli di rettile, motivando le popolazioni a proteggere e conservare specie e habitat”. Bene, passi indietro di griffe “benintenzionate quanto mal indirizzate” potrebbero portare “al collasso” di questi progetti globali. Boicottando certi materiali si lavora per una filiera della moda etica nonché socialmente sostenibile? Neanche. “In Indonesia 150.000 persone traggono benefici dal commercio del pitone – argomenta IUCN –. L’attività assicura mezzi di sussistenza stabili alla popolazione, soprattutto in tempi di economia volatile”. La lezione di IUCN per Chanel e per gli altri, allora, è che “l’uso economico di animali selvatici è più sostenibile” del loro abbandono. C’è ancora molto lavoro da fare, riconoscono, ma anziché lasciarsi “influenzare” da chi è contro l’uso dei materiali animali per partito preso, l’industria della moda “ha bisogno di rafforzare sempre più un approccio calmo, analitico, informato e scientifico al processo decisionale”. I repentini addii che tanto piacciono a ultra-veg e stampa, al contrario, sono solo “lazy decisions” per lo più controproducenti.
TRENDING