Clienti aspirazionali in crescita: ok, ma attenti alle definizioni

Clienti aspirazionali in crescita: ok, ma attenti alle definizioni

Con un recente report McKinsey invita le griffe del lusso a non abbandonare i consumatori aspirazionali, perché sono ancora strategici. Ma, in che senso? Da più parti si legge che solo l’altissimo lusso è in crescita, perché il suo pubblico di riferimento è immune alla sferza dell’inflazione. Perché McKinsey la pensa diversamente? Bisogna stare attenti alle definizioni. Ognuno li identifica secondo il proprio reddito e la capacità di spesa, anche in base al Paese di residenza. La stessa società di analisi punta in alto e inserisce nella categoria di ALC – Aspirational Luxury Consumers – coloro che acquistano almeno un articolo di lusso all’anno. E spendono annualmente tra i 3.000 e i 10.000 euro per la moda. Un range di spesa, quindi, che tende all’alto.

Attenti alle definizioni

Nella piramide dei segmenti il lusso aspirazionale si pone un gradino al di sopra del premium. Nell’immaginario italiano rientrano nel lusso aspirazionale un paio di scarpe da 500-800 euro e una borsa da 800-1.300 euro. Per Gianni Dori, CEO del marchio di nicchia Rodo, è questa la fascia di prezzo che le grandi griffe, fuggendo con i listini verso l’alto, hanno lasciato sguarnito. Non è semplice concordare sulle definizioni, però. Ok la predisposizione al singolo acquisto teorizzata da Dori, ma bisognerebbe poi intendersi sul budget annuo per lo shopping di tale consumatore per capire dove porre il confine del segmento. Perché è al contempo vero che se il “vero lusso”, come quello di Hermès o di Chanel, distribuisce borse a 10.000 euro, chi ne spende 5.000 l’anno è oggettivamente aspirazionale. Il dubbio resta.

 

 

I consigli di McKinsey

Nel quarto trimestre 2023, McKinsey ha coinvolto 5.626 persone residenti in sette mercati chiave: Cina, Francia, Germania, Italia, Svizzera, Regno Unito e Stati Uniti. Sulla base delle loro interviste ha realizzato il report “Why courting aspirational luxury consumers still matters”. Gli ALC, dunque, rappresentano il 18% del mercato della moda, ovvero circa 273,5 miliardi di dollari di valore di mercato all’anno. La metà, cioè, del fatturato totale generato dai marchi del lusso. Una fetta di mercato che, secondo gli analisti, le griffe del lusso non dovrebbero trascurare più di tanto.

Un pubblico adulto

L’indagine svela che quasi il 60% degli ALC ha un’età pari o superiore ai 35 anni. Per cui non sono giovanissimi come credono i manager dell’industria del fashion. E non sono nemmeno amanti del logo: il 70% si sente a proprio agio indossando marchi meno conosciuti. Il campione dell’intervista preferisce acquistare abbigliamento (e non beauty, pelletteria e accessori), magari di seconda mano. In questo periodo travagliato le griffe si concentrano sugli ultra-ricchi, che mantengono inalterata la propria voglia di spendere. Aumentano i prezzi e creano negozi ed esperienze ad hoc. Viceversa, la crisi ha colpito il portafoglio degli ALC (e ancora di più chi ha capacità di spesa inferiore), che si sono visti pure tagliati fuori dagli aumenti dei prezzi delle griffe. Ma, secondo McKinsey, la tattica di coccolare solo i super ricchi non è lungimirante: meglio che le maison ci ripensino. (mv)

Foto da Shutterstock

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