Show senza pubblico, uffici chiusi, forniture in dubbio. Tanto tuonò, che piovve. L’emergenza frena la filiera, ora che ci sono anche focolai italiani dell’infezione da Coronavirus. Non è una sorpresa, piuttosto il manifestarsi di uno scenario sì prevedibile, dopo settimane di tam tam dalla Cina, ma di cui nessuno auspicava l’effettivo verificarsi. La filiera del bello e ben fatto, ora, si deve confrontare con una crisi multi-livello. Riguarda consumi, eventi e produzione.
Pronti, via
Intanto, il lusso pagherà dazio. Ne è certa Goldman Sachs, che ha abbassato le stime per il settore: altro che crescita, il 2020 sarà flat. Nel migliore dei casi. Gli analisti stimano che nel primo trimestre le vendite siano calate del 9% (quando la valutazione pre-Coronavirus era del +6%). Se nel secondo trimestre non ci sarà ripresa dei consumi, però, l’alto di gamma chiuderà in negativo. L’unica consolazione è che, passata la paura, ripartirà anche il business: “Nei periodi di incertezza dei consumatori – sono le considerazioni riprese da MFF –, gli acquisti sono rinviati o cancellati, ma ciò può fornire un ulteriore stimolo alla crescita all’inizio della ripresa”.
Consumi, eventi e produzione
Il rallentamento del mercato del prodotto finito non può non avere ripercussioni. Il primo a far capire che i piani sarebbero cambiati è stato François–Henri Pinault. Illustrando i risultati di Kering, ha spiegato che i brand del gruppo avrebbero ridistribuito le allocazioni produttive per evitare di rimanere con stock in Cina: un modo, tra le righe, per aprire all’ipotesi della produzione a scartamento ridotto. D’altronde, è una voce che si rincorreva nei corridoi di Lineapelle: le griffe più esposte sul mercato cinese sarebbero pronte a tagliare anche del 30% la produzione. Ce lo ha spiegato a Fieramilano Rho anche Fabrizio Masoni, titolare di Masoni industria Conciaria, nel cui capitale a dicembre 2019 è entrata LVMH. La conceria toscana “farà un giorno di chiusura alla settimana. I nostri clienti, tutti, ci hanno chiesto di rallentare gli stock, visto che si lavora molto su previsione”. Masoni spiega, infatti, che “le concerie di oggi hanno, ormai, una visibilità di lavoro di uno/due mesi. Se tra uno/due mesi tutto si risolve, si ripartirà a ritmi altissimi. Ora, però, è necessario ridurre il rischio, soprattutto nell’ultima fase. Per esempio la tintura finale”. Intanto Armani annuncia la chiusura degli uffici milanesi e le sedi produttive in Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna, Veneto e Trentino per la settimana che comincia il 24 febbraio. In questo caso non c’entrano le prospettive di vendita in Asia, ma le misure di contenimento del contagio tra i dipendenti italiani.
Non è una sorpresa
Certo, la Cina tornerà e con lei il mercato del lusso. Ne sicuro anche Riccardo Sciutto, CEO di Sergio Rossi. Il problema è il quando: “La crisi non durerà solo uno o due mesi”, dice a Footwear News il manager. Intanto, la filiera si confronta con difficoltà operative che si promettono sempre più stringenti. Il Salone del Mobile, si legge dalla stampa, si attende un calo di oltre 30.000 visitatori (mancando gli asiatici) e non può escludere lo spostamento delle date, ad esempio. Tornando al manifatturiero, “man mano che il tempo passa aumentano i rischi che si inceppi il meccanismo – spiega a Il Mattino Carlo Palmieri, vicepresidente nazionale con delega al Mezzogiorno di Sistema Moda Italia – Adesso le difficoltà investono il pronto moda, per i tempi di produzione più rapidi”. Ma il problema è trasversale e rischia di stravolgere gli acquisti e le vendite delle aziende italiane.
Leggi anche: