Potremmo definirlo un paradosso. Per lustri le imprese italiane della manifattura moda si sono trovate a un bivio: ingrandirsi, e sopravvivere, o perire nel mercato globale. Ora che la pandemia impone una recessione di proporzioni ancora inesplorate, le stesse imprese scoprono che conveniva rimanere piccole. Perché a fronte di ricavi in calo drastico, i costi rimangono alti. A descrivere il paradosso della moda italiana è il Financial Times.
Conveniva rimanere piccole
“Competizione globale, alti costi del lavoro e numerose recessioni hanno costretto molti a chiudere – si legge – Quelli che sono sopravvissuti, ce l’hanno fatta grazie a strategie di espansione”. Poi è arrivato Covid-19: “Ora per alcuni di loro le dimensioni sono diventate un fardello – continua l’approfondimento –. Obbligati a mantenere i dipendenti pur avendo poco o niente lavoro, molti lottano per sopravvivere”. Sul contesto, oltretutto, incidono le decisioni del governo italiano, che ha imposto il blocco dei licenziamenti fino all’autunno. Il risultato è che “mentre molti lavoratori a termine sono stati lasciati andare, i dipendenti sono in cassa integrazione da marzo”.
L’ultima goccia
Financial Times raccoglie la testimonianza del calzaturiere marchigiano Fabiano Ricci, che definisce la crisi scatenata dal Coronavirus “l’ultima goccia” per un settore già in difficoltà. Ricci ha sei dipendenti, condizione che lo aiuta a tenere duro nella pandemia. “Ho costi fissi bassi e costi di produzione variabili: sto lottando – racconta –. Non posso immaginare chi ha costi più alti. Molti fornitori hanno visto gli ordini calare del 40%. I titolari sono tra l’incudine e il martello, perché non possono licenziare i lavoratori, ma non sono neanche nella condizione per recuperare i ricavi”.
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