La guerra in Ucraina e le sanzioni alla Russia complicano (per non dire: rovinano) i piani delle griffe. Ma non ci sono le premesse per un boom del mercato parallelo. Per una ragione molto semplice: il lusso europeo produce sempre meno, quindi di invenduto da dirottare nei canali informali non ce n’è. L’unica merce di cui sono stipati i magazzini è quella per il mass market.
Ora che i russi non ci sono più
Ne è convinto Gianluca Sessaregu, CEO di Ghep, società con sede a Montecarlo da trent’anni attiva nella distribuzione di abbigliamento e accessori (e dal 2019 titolare di Guru, di cui già era licenziataria). “La guerra sta impattando poco rispetto a quello che si crede. Riguarda solo i beni di lusso – dice a Il Foglio –. Qui a Montecarlo la scomparsa dei russi fa piangere parecchie boutique per le quali i russi erano oltre il 60% della clientela. E succederà anche a Forte dei Marmi, a Capri e a Porto Cervo. Ma in una prospettiva globale, la classe agiata non si preoccupa di spendere 300 euro in più su un accessorio. Il rincaro, determinato dalla crisi della logistica, è ridicolo per certi portafogli”.
Non aspettatevi il mercato parallelo
Alla guerra e alla sospensione delle attività delle griffe in Russia non seguirà il boom del mercato grigio (come invece auspica il Cremlino). Perché? “Semplicemente le maison producono molto ma molto meno – risponde Sessaregu –. Alimentano il desiderio aspirazionale proprio con la mancanza di beni disponibili. Si creano così le bolle degli orologi che quadruplicano il prezzo, oppure le felpe griffate che ormai hanno tiratura da produzioni artigianali (o delle sneaker, aggiungiamo noi ndr). È pura speculazione”. È dalla strettoia a monte che il mercato parallelo risulta “bloccato”: “I problemi sono uguali per tutti. Non è che in Inghilterra, Francia o Spagna le cose procedano secondo logiche diverse – continua il CEO di Ghep –: merce invenduta in Europa non c’è. Poi oggi i controlli sono molto rafforzati”.
Questione di segmenti
Il fatto che ne abbia di relative sul lusso non vuol dire che la crisi internazionale non ha ripercussioni sulla filiera della moda. Succedono “cose strane e contraddittorie”, racconta Sessaregu. “I fornitori asiatici rifiutano ordini perché non sanno stimare i tempi di consegna, ma anche perché con la prima ondata del Covid molti colossi del fast fashion, che in Europa hanno chiuso centinai di negozi dalla mattina alla sera, non hanno ritirato la merce”. È questa che finirà nel parallelo, “nei mercati dell’Est, dove c’è minor controllo”.
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