“Abbiamo deciso di celebrare chi rimane sconosciuto al grande pubblico: chi non è mai acclamato, ma è parte del successo del lusso”. Martin Johnston e Lise Bonnet sono marito e moglie. Vivono in Olanda, vantano un’esperienza decennale nel business della moda e dal 2015 lavorano al proprio sogno: un brand proprio dell’alto di gamma. È il New York Times a raccontare la loro vicenda. È lo stesso quotidiano statunitense a spiegare come Crafted Society, che oggi vanta uno showroom ad Amsterdam e un canale e-commerce, nel proprio percorso di gestazione abbia deciso di spostare il proprio focus sulla supply chain. “Abbiamo deciso di tirare fuori gli artigiani dall’ombra per portarli alla ribalta”, raccontano Johnston e Bonnet. Già, perché, avventurandosi nel dedalo del made in Italy, i due si sono resi conto di quanto sia difficile anche per gli addetti ai lavori individuare i player della moda, figurarsi per il pubblico che vede i capi in passerella ma non sa nulla della loro storia. I fondatori di Crafted Socety, dunque, promuovono sul proprio sito la filiera di ogni modello, raccontando tutto delle aziende che producono gli accessori e degli artigiani che vi lavorano. La società promette di devolvere ad attività formative l’1% dei propri ricavi. Edoardo Mattioli, ceo di Ales Pelletterie, al NYT spiega come un’iniziativa del genere possa aiutare il settore nel turnover generazionale: “I giovani non sono interessati a questo lavoro, ma se possiamo rendere le nostre comunità orgogliose di quello che facciamo, possiamo anche persuadere i ragazzi dell’importanza del nostro mestiere”.
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