Francia, aziende e Governo insieme per far crescere la manifattura di lusso: l’Italia è avvisata

Adeline Vassalle ha 33 anni. Ha sostenuto il corso di formazione organizzato da Hermès per i neo-assunti nell’impianto di Héricourt, 5.600 metri quadri e 260 addetti. Ora lavora alla produzione di borse Kelly, modello iconico della maison francese. 10 anni fa lavorava nell’ortofrutta. Il suo caso, tra quelli raccontati da un viaggio del Financial Times nella manifattura di lusso transalpina, è quello che meglio racconta la convergenza di interessi tra i gruppi del lusso parigini e il governo del Paese. Non solo Hermès, il gruppo LVMH e i principali attori della filiera, ve lo raccontiamo dalle colonne di questa testata, investono nella formazione e nella produzione in Francia sull’onda dei fatturati in crescita e per l’esigenza di alimentare il mito dell’etichetta made in France. Ma l’Eliseo, che sotto la presidenza Macron spinge per la crescita economica nei settori ad alto tasso d’innovazione, vede di buon occhio queste iniziative e intende propiziarne di nuove. Perché? La filiera della pelle francese, riepiloga FT, viene già da un trend positivo: l’export è raddoppiato dal 2009 a oggi ed è cresciuto del 7% su base annua nel 2017. E poi, come dimostra il caso di Adeline Vassalle, la filiera del lusso rappresenta anche un’ottima opportunità occupazione per le aree semi-rurali o de-industrializzate. Durante l’ultima Fashion Week parigina Macron, ricorda FT, ha ospitato 120 designer all’Eliseo per una cena di gala. Il suo invito alla platea internazionale è stato: “Venite a produrre in Francia”. Poco più di un mese fa, Axel Dumas (Hermès) lamentava: “Che invidia i distretti italiani”.  Il modello nostrano è ancora lontano. Ma tutto il sistema Francia ci sta investendo.

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