Ormai prossimo ai 70 anni, da due anni libero dal compito di guidare il brand che porta il suo nome, Jean Paul Gaultier si può togliere la libertà di parlare a briglia sciolta. O quasi: perché una certa reticenza, nei suoi strali contro il sistema del lusso, ancora c’è. Ma lo stilista (nella foto, Shutterstock), reduce da una presentazione in Spagna, con El País si concede qualche libertà. Il sistema dell’alta moda, a differenza di quanto accadeva fino a qualche decennio fa, ha perso sia lo slancio artistico, che il gusto per il divertimento. Oggi è una guerra di potere tra colossi finanziari.
Gaultier a briglia sciolta
Non è difficile, per Gaultier, spiegare il sistema di potere che oggi rappresenta il lusso. “È vero – premette – che i grandi gruppi generano migliaia di posti di lavoro e che grazie a loro non sono scomparse centinaia di laboratori artigianali”. Però, c’è un però: “Ora la moda è una questione di potere, di politica”. In che senso? “Oggi tutto gira intorno al denaro – sono le sue parole –. Per esempio: ci sono brand enormi che lanciano collezioni bruttissime (tutti sappiamo quali sono, ma non sarò io a fare nomi) e nessuno dice niente. Perché la stampa dipende sempre di più dagli investimenti pubblicitari delle stesse grandi firme”.
Neanche la pandemia
Neanche il Coronavirus ha cambiato l’inerzia delle cose. “Sono sorpreso da quello che si vede dopo la pandemia. Sfilate monumentali, video da superproduzioni hollywoodiane – continua Gaultier –. Pensano davvero che la gente comprerà tanto quanto prima? A Parigi i negozi sono vuoti”. Della necessità di riforma del sistema del lusso se n’è parlato molto nella primavera del 2020. “Bisognerebbe ripensare il modello di business. Ma i brand sono imperi enormi il cui unico obiettivo è vendere di più. È un problema di mentalità”.
Mentalità politica
“Porto un altro esempio senza fare nomi – dice Gaultier, a proposito di mentalità –. Un grande gruppo ha già 20 negozi in Avenue Montaigne (via dello shopping nell’VIII arrondissement di Parigi, ndr). Si libera un locale e lo compra. Non perché ne abbia bisogno, non perché a un altro dei suoi marchi serva una vetrina, ma per non lasciarlo alla concorrenza. Così si fa politica, non moda. Come nelle tensioni tra USA e Russia: si tratta di chi prevale sull’altro – conclude –. La domanda non dovrebbe essere come produrre di più, ma come produrre e perché.
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