Prendiamo l’analisi di Business of Fashion sul prezzo di cartellino della borsa Speedy 30 di Louis Vuitton. Nello stesso giorno, il 23 maggio scorso, lo stesso articolo ha nelle boutique fisiche e virtuali del pianeta un costo che varia da un minimo di 793 dollari del Marocco al massimo 1.322 del Brasile, passando dagli 854 in Francia, i 1.036 di Hong Kong e i 1.138 della Cina. In Italia, aggiungiamo noi, la Speedy 30 risulta costare 760 euro (837 dollari circa: più economico dello Stivale tra i Paesi occidentali analizzati non c’è nessuno). La maison francese, dunque, propone sul mercato globale i propri prodotti con una forbice tra il prezzo più basso e quello più alto del 66%. Retaggio della politica del cartellino, quella che le griffe applicano grossomodo dagli anni 90 (quando la rete si è espansa verso le nuove borghesie emergenti in Asia e Sud America) per imporre ai mercati prezzi differenziati in modo da ricavare margini il più alti possibile. Pratica che oggi, complici e-commerce ed espansione del pubblico in viaggio, mostra la corda. Secondo Exane Bnp Paribas il 50% del mercato del lusso è mosso da turisti, che colgono l’occasione dei soggiorni all’estero per compiere acquisti sulle piazze più convenienti, mentre la società di consulenza Bain & Co riconosce che “la trasparenza globale dei prezzi è il terreno di confronto della sfida tra le griffe”. Non ci gira intorno Marco Bizzarri, presidente e ceo di Gucci, che recentemente ha dichiarato: “Price fairness è la parola chiave. Oggi la leva del prezzo per aumentare il fatturato non può più essere usata in modo indiscriminato, come succedeva fino a qualche anno fa. Ogni consumatore ha accesso a tutte le informazioni che desidera”. (rp)
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