È la lista dei 9 errori più banali commessi dalle griffe del lusso in Cina. Lo hanno stilato per BoF Luca Solca, responsabile della ricerca sui beni di lusso di Bernstein. E Jasmine Zhu, CEO dell’agenzia di gestione del marchio China & I. La premessa logica è l’importanza del mercato cinese per l’alto di gamma. La Cina rappresenta oggi circa il 30% delle vendite totali. E secondo Altagamma, entro il 2025, la percentuale dovrebbe salire al 50%.
I 9 errori più banali
- Le decisioni le prendono dirigenti in Europa (la maggior parte dei marchi centralizza ancora le operazioni chiave per il mercato cinese nelle sedi centrali. Ciò comporta meno innovazione, un processo decisionale lento e il rischio “vicoli ciechi”);
- Errata localizzazione (il marchio non ha equilibrio nella vicinanza al consumatore. La “sovra-localizzazione” rovina il fascino straniero della griffe);
- Mancanza di sensibilità politica (i brand trascurano il nazionalismo dei cinesi);
- Rappresentazioni superficiali della cultura cinese (certe griffe abusano del rosso e dell’oro e di simboli come i draghi in un modo ritenuto superficiale e noioso);
- Considerare la Cina come un unico mercato (sono invece necessarie strategie su misura per rispondere alla diversità, complessità e peculiarità regionali. Secondo McKinsey, il 75% dei ricchi cinesi vive al di fuori delle città di alto livello);
- Digitale: troppo poco, troppo lento (molte griffe sono presenti su piattaforme come WeChat, Weibo e Douyin, ma non, ad esempio, su BiliBili, Kuaishou o Xiaohongshu);
- Lacune nell’omnicanalità (retail fisico e digitale sono gestiti in modo separato. Burberry rappresenta un’eccezione);
- Scelte KOL scadenti e dipendenza eccessiva dalle celebrità (attenzione a scegliere ambasciatori in base alla popolarità a scapito dell’allineamento su cultura e valori);
- Eccessiva fiducia in se stessi (è ingenuo presumere l’amore incondizionato da parte dei consumatori cinesi solo perché hanno di fronte un marchio storico con reputazione globale).
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