È un cambio di paradigma concettuale che porta con sé anche un cambio di offerta merceologica. Gli investimenti delle griffe in settori fin qui marginali, come la cosmetica, servono a espandere la propria influenza nell’immaginario del pubblico. Ma portano con sé l’eliminazione (o la riorganizzazione) degli investimenti nei segmenti più bassi, cioè nelle cosiddette diffusion line. Un esempio? Tra i brand che esordiranno nel beauty nel 2024 (insieme a Balmain e Dries Van Noten) c’è Valentino. Che con la guida di Pierpaolo Piccioli si è fortemente posizionato nel lusso, chiudendo per questo nel 2021 la diffusion line RedValentino.
Il nuovo lusso totalitario
È evidente che tra le necessità delle griffe c’è quella di arricchire l’offerta di prodotti e di servizi. “Una volta veniva offerto il total look – osserva con Repubblica Michele Contabile, professore di marketing dell’Università Luiss –, oggi i marchi offrono il total life”. Cosmesi e profumi offrono un vantaggio in più. La categoria “accelera la presenza del lusso nel territorio – osserva Eric Briones, autore di Luxe et Digital con AFP –. Diversamente da una borsa iconica dal prezzo irraggiungibile, il prodotto beauty è accessibile a tutti. Ed è un modo per diffondere la propria immagine e comunicarla ovunque”.
Il cambio di offerta merceologica
Dal punto di vista delle dinamiche di filiera, dicevamo, c’è da notare che il trend si accompagna al taglio e alla riorganizzazione delle diffusion line. Negli ultimi anni sono stati ritirati dal mercato, tra gli altri, D&G, Versus di Versace e Marc di Marc Jacobs. Perché? Cosmetica e beauty (a differenza di abbigliamento e accessori dal prezzo minore) offrono un punto di contatto con i clienti aspirazionali che non svilisce il posizionamento del brand. Anzi, lo rinforza. Repubblica cita il caso di Hermès, il cui rossetto costa più di 70 euro (contro una media di 10 euro da marchi della GdO). Il prestigio della griffe rimane intatto, mentre gli affari crescono (Hermès Parfume & Beauty, nata nel 2020, nel 2022 fatturava 448 milioni di euro, +16% su base annua). Un’operazione win-win che più difficilmente riesce con un paio di sneaker.
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