Nel lusso la sfida è attrarre lavoratori: le opportunità ci sono, mancano gli addetti da avviare alle professioni. Da quando ha assunto l’incarico di CEO di Fendi, Serge Brunschwig si è molto espresso, nonché esposto, sul tema. Ora, al Sole 24 Ore spiega che la capacità di conquistare talenti è una sfida non solo tra griffe, ma tra sistemi-Paese. Perché così come tra i player del lusso prevarrà chi saprà aggiungere valore al proprio prodotto, avrà migliore fortuna la filiera manifatturiera che metterà in campo le misure più efficaci per la formazione.
Il valore della qualità
Prima di poter emergere nella pellicceria di Fendi, ogni artigiano ha bisogno di anni di formazione. Prima che un capo possa essere distribuito, necessita anche centinaia di ore. “Una pelliccia di Fendi è fatta più di lavoro che di materia. I nostri clienti lo sanno e lo apprezzano – spiega Brunschwig (nella foto) –. Il lusso è sempre più nelle storie che gli oggetti racchiudono”. Il valore aggiunto, dicevamo, è il discrimine vincente sul mercato: “Il futuro non ci porterà verso una produzione eccessiva di cose fatte male – continua –, ma nella direzione di cose più belle e fatte con passione”.
La sfida è attrarre lavoratori
“Nonostante l’industria del lusso cresca costantemente anno dopo anno – osserva il CEO – e offra dunque sempre più posti di lavoro nelle sua manifatture, il settore è alle prese con la difficoltà di trovare giovani da formare”. Non è facile. Fendi, da sola o in seno alle iniziative della casa madre LVMH, ci sta provando. “Bisogna rendere i mestieri affascinanti agli occhi dei giovani e anche dei loro genitori – afferma Brunschwig –. Far capire loro che non si tratta solo di attività che preservano saperi antichi, ma che sono ricchissime di ricerca e innovazione”.
Risposte da Paese
Una parte della sfida esula dalle competenze delle aziende e chiama in causa la politica. “Al contrario di Francia e Germania, che anche di recente hanno destinato nuovi fondi per la formazione e l’occupazione in mestieri tecnici – sono le parole del CEO –, le istituzioni italiane non sembrano rendersi ancora conto di questa opportunità, che potrebbe essere d’aiuto anche per risolvere il problema della disoccupazione giovanile”. Fendi ora vanta in Italia cinque siti produttivi organizzati come un distretto esteso: “Saremmo ben disposti ad aprire nuovi atelier anche in Calabria, perché no? – conclude il CEO –. Trovo che la sostenibilità di cui oggi molto si parla anche nella moda sia anche dare la possibilità alle persone di lavorare nei propri paesi o città, senza doversi trasferire”.
Nell’immagine: a destra Serge Brunschwig (foto Imagoeconomica), a sinistra un modello Fendi (tratto da fendi.com)
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