Nicolas Ghesquière non risponde in maniera diretta al dibattito sul fast luxury aperto da Giorgio Armani. Ma quando a Le Monde dice che è arrivato “il momento giusto per rallentare una macchina che si è imballata” è evidente il riferimento. Lo stilista (nella foto) per Louis Vuitton ha in mente un lusso “modesto”, cioè uno stile adeguato ai tempi del Coronavirus. Un po’ è, appunto, il fare i conti con le incombenze della pandemia. In parte è anche una sobrietà che appartiene al DNA della maison francese. “In Vuitton facciamo molta attenzione a produrre la quantità esatta necessaria alla nostra rete di boutique. Noi vediamo quasi il 100% delle borse che produciamo”.
Il lusso “modesto”
“Abbiamo realizzato 18 looks, contro la media di una cinquantina – racconta lo stilista, responsabile della linea Donna di LV –. Abbiamo utilizzato tessuti già esistenti. Con Delphine Arnault e Michael Burke (rispettivamente vicepresidente esecutivo e CEO della griffe, ndr) siamo stati d’accordo nel fare una collezione modesta, e di non mantenere il defilé, come hanno fatto altri marchi”. L’atteggiamento, precisa Guesquière, non è auto-punitivo. Non si tratta di un atto di contrizione. Al giornalista che gli chiede se la moda debba rappresentare le tensioni della società e le crisi che attraversa, lo stilista risponde “non per forza”. Perché il fashion “può anche porsi come scappatoia – dice –. Può sembrare superficiale, ma penso davvero che le persone abbiano sentito la mancanza della moda durante il lockdown. Negli ultimi dieci anni è divenuta popolare come la musica o le altre industrie dell’intrattenimento”.
Le prassi di LV
Una certa accortezza, dicevamo, fa già parte delle prassi di Vuitton. “Per il prêt-à-porter mi lasciano molta libertà creativa – continua lo stilista –, ma so che in fin dei conti solo una selezione limitata di modelli arriverà in boutique. Allora mi sono adattato. Invece di proporre quindici tipi di cappotti, mi concentro su quattro”. L’emergenza Coronavirus ha interferito con l’ultima collezione, non poteva essere altrimenti. “Ho l’abitudine di lavorare d’urgenza, di finire all’ultimo minuto per cogliere il momento. Ora sarebbe stato impossibile – racconta –. Tutto è stato molto organizzato, i team hanno rilasciato i modelli per produrre i capi a un ritmo che non mettesse le persone della produzione in pericolo. È stato tutto abbastanza più rilassato”.
Come cambia il mercato
Ghesquière è molto schietto: non si rappresenta come uno stilista concentrato unicamente sul lato artistico del proprio mestiere, ma riconosce di essere molto attento alla voce ricavi del datore di lavoro. “Sì, mi interesso di tutto. Sono consapevole della posta in gioco – sono le sue parole –. Quando sono arrivato in Vuitton, mi è stato chiesto di far crescere la maison da un punto di vista creativo e commerciale”. Lo stilista non nutre timori di grandi recessioni in vista per il lusso: “Il consumo diventa locale, ma il desiderio di belle cose resta. s’è visto in Cina con il revenge shopping”.
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