Per Alessandro Sartori, nel mondo alla prese con il Covid-19, è una priorità. Per Giorgio Armani è una leva competitiva per l’intero Paese. Insomma, dai piani alti di Ermenegildo Zegna lo dicono chiaro e tondo: il made in Italy è da salvare. Anche perché, se va perso, non tornerà più. Lo stilista milanese non si accontenta, per così dire, di mettere al sicuro l’esistente, ma augura una stagione espansiva.
Il made in Italy è da salvare
Alessandro Sartori (a destra nell’immagine), direttore artistico di Zegna, spiega a Le Figaro che durante il lockdown “la creatività non si è mai fermata”. A fermarsi è stata la produzione, of course, fatta eccezione dei reparti dedicati alla produzione di abbigliamento tecnico per la Protezione Civile. “Abbiamo potuto riprendere progressivamente le attività – racconta Sartori – a seconda delle regioni dove abbiamo le sedi. Ora tutti i nostri artigiani sono all’opera, nel rispetto delle regole sanitarie”. L’esperienza pandemica avrà conseguenze sulla griffe, perché ne ha avute sulla società. “Nei primi dieci giorni, Milano deserta mi ha scioccato – ricorda –. Poi ho cominciato ad apprezzare il ritmo imposto, immergendomi nello studio degli archivi. Il lockdown, da un punto di vista estetico come della responsabilità, influenzerà il modo di pensare le collezioni”. Ma la priorità di Zegna, dicevamo, è salvaguardare la spina dorsale del made in Italy, cioè la sua rete di piccole e medie imprese. “La nostra missione è proteggere l’artigianato, essenziale in Italia. Se muore, sarà perso per sempre”.
I valori di Giorgio
Con una lettera a WWD (ormai entrata nella storia della moda), Giorgio Armani (a sinistra nella foto) ha dato il via al ripensamento dei processi del lusso. Lo stesso movimento culturale cui abbiamo dedicato la copertina de La Conceria n. 6. Lo stilista milanese torna, sempre con Le Figaro, sull’argomento, spiegando come i grandi del fashion system possono aiutare l’intero Paese. “Certo non solo noi, ma anche noi della moda, possiamo lasciar perdere le rivalità e fare il bene dell’Italia”. Come? “Sono abbastanza adulto da ricordare i primi anni ’80, quando eravamo solidali – risponde –. Dobbiamo impegnarci a mettere in mostra Milano, a fare spazio ai brand emergenti, in sofferenza, e a rilocalizzare la produzione per sostenere la filiera”. Perché in fin dei conti, conclude Armani, “la bellezza è una questione morale”.
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