Sembra un paradosso, perché è lo stesso Financial Times a riconoscere sulla base dei dati di LVMH che stiamo vivendo “il boom del lusso”. Ma proprio per questo il pizzino di FT, un quotidiano che sicuramente non si può tacciare di pregiudizio verso le imprese, va letto con attenzione. Dal Luxury Summit che ha organizzato dal 21 al 23 maggio a Monte Carlo sono emersi segnali di nervosismo. Ora è l’editorialista Robert Armstrong a scrivere perché, a proposito delle prospettive del segmento più alto della piramide, c’è da essere cauti.
Il pizzino di FT
Basta guardarsi intorno, scrive Armstrong, per capire le ragioni di tanta prudenza. “La ripresa della Cina è stata una delusione dal punto di vista economico: né i consumi interni né l’export sono rimbalzati come previsto”. La crescita delle diseguaglianze è un tema, aggiunge, da tenere d’occhio: le classi medie hanno in fin dei conti tenuto il colpo della pandemia, ma i ceti abbienti hanno migliorato di più la propria posizione. Un bene? Sì, ma fino a un certo punto. “Non si possono biasimare gli investitori per aver scommesso su LVMH o le altre grandi case del lusso – chiosa –. Reddito, patrimonio e capacità di spesa dei più ricchi fanno credere in uno scenario di risultati stabili malgrado i cicli economici”. C’è un problema a tal proposito, conclude Armstrong: “Ma non si può desumere che i brand del lusso siano a prova di recessione. Anni fa intervistai l’amministratore delegato di un brand di auto dal prezzo a sei cifre. Mi disse che i suoi clienti sarebbero sempre stati in grado di permettersi i suoi veicoli, ma in tempo di recessione non l’avrebbero fatto perché volgare”. I consumi d’alta gamma, dunque, risentono del tema sociale dell’opportunità. Chi ha orecchie per intendere, intenda.
Foto da Shutterstock
Leggi anche: