Il principale risultato ottenuto da Stella McCartney è quello di aver sdoganato i tessuti sintetici nell’haute couture. Il problema è che ora, “dopo 18 anni”, “i pesci ce l’hanno dentro di sé”. Già, perché la stilista, arcinota per le proprie posizioni oltranziste in fatto di impiego (da bandire, secondo lei) della pelle, sarà pure nelle condizioni di fare ricorso ai migliori tessuti disponibili, ma ha condizionato “un mucchio di gente, decisa a copiarla”. L’uso di poliuretano è decollato. Ma è bad shit (preferiamo non tradurre, ndr): non è biodegradabile”. Ci voleva un reality di BBC2 per costringere l’opinione pubblica inglese a confrontarsi sul tema della sostenibilità dell’industria della moda e, soprattutto, per affrontare con strumenti critici certi luoghi comuni molto diffusi dagli attivisti green. Merito di Patrick Grant (nella foto), direttore creativo della sartoria londinese Norton & Sons, nonché giurato di “The Great British Sewing Bee”, format (in onda dal 2012) che vede aspiranti sarti sfidarsi per diventare i nuovi big del settore. Ebbene, è proprio dagli studi di BBC2 che Grant si è lanciato contro l’equivoca filosofia di Stella McCartney, suscitando un dibattito che ha trovato eco sul Times e sul Daily Telegraph. “Forse dovremmo mangiare meno carne, ma comunque se ne mangia – ha detto Grant – ed è meglio fare buon uso delle pelli bovine, invece di inquinare i mari”. Un portavoce di McCartney ha chiarito alla stampa inglese che il brand usa tessuti di massima qualità, di quelli che non rilasciano microplastiche durante il lavaggio: è pur sempre un’azienda transitata nel gruppo Kering, è pur sempre lusso. Come recepiscono il messaggio i concorrenti dei segmenti inferiori, però, rimane una questione aperta.
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