Calo delle vendite e trasformazioni dei flussi d’acquisto tali da costringere le griffe a rivedere l’intera architettura dei prezzi. Sebbene l’Unione Europea sia uscita indenne dal primo round della guerra commerciale che, ora, vede gli Stati Uniti di Donald Trump fronteggiare la Cina, le griffe del Vecchio Continente non sono al riparo dai guai. Anzi, a spiegare in che modo l’alto di gamma vedrebbe i propri piani sconvolti da un conflitto a suon di dazi tra Washington e Pechino ci pensa Ferruccio Ferragamo (nella foto). “Tendenzialmente i dazi portano ad un aumento dei prezzi – commenta con Affari & Finanza il presidente dell’omonima griffe – e per l’industria del lusso, che ha una relativa elasticità al prezzo, c’è un possibile rischio di contrazione dei volumi”. La questione, in un contesto ipotizzato per l’economia in generale di crolli borsistici e reazioni a catena lungo filiere globali, non si esaurisce qui. “Altro tema da non sottovalutare – aggiunge Ferragamo – è il possibile disordine nella princing map, quella mappa che tutti i brand del lusso disegnano con grande attenzione per mantenere gli equilibri tra i diversi mercati. I differenziali tra un Paese e l’altro potrebbero cambiare, con un spostamento dei flussi dei consumi e dei consumatori in aree diverse”.
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