Dagli analisti arrivano segnali rassicuranti. L’inflazione non si pone (o meglio: non si pone ancora) come una minaccia per l’alto di gamma. Ma per la moda in generale queste rassicurazioni hanno un valore molto relativo. A un mese dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, evento che ha acuito la spirale inflazionistica già scatenata dalla pandemia, le imprese manifatturiere (in Italia e all’estero) registrano segnali critici.
Perché l’alto di gamma non trema
Sentiamo cosa dice Salvatore Gaziano, direttore investimenti di SoldiExpert SCF, a La Verità. La premessa è che, come osserva anche Barclays, sullo scenario internazionale vanno tenuti sotto osservazione più elementi, non solo la guerra. Incutono timore anche “la minore crescita economica della Cina e il potenziale di restrizioni” legate alla pandemia: “Possono avere un impatto sulle vendite, in particolar modo nei negozi fisici”. Ma, restando all’inflazione “elevata”, proprio questa al lusso non fa paura. Perché? Il settore la vede come “qualcosa più facile da ribaltare nei prezzi al cliente”. Il pubblico, insomma, è disposto a pagare di più.
La moda in generale soffre
Quello che vale per le griffe del lusso non vale per l’industria della moda in generale. I consumi fashion in Italia, ad esempio, già frustrati dalla pandemia, sono ancora in contrazione. E ora che c’è anche il caro-bollette, Ignazio Visco, governatore di Bankitalia, riconosce dal palco del Forum di Bloomberg sull’Economia Italiana che “le industrie non possono sopravvivere con questi prezzi”. Non va meglio nel Regno Unito. L’istituto di statistica (Office for National Statistics) riporta che i prezzi della moda viaggiano a un tasso di crescita superiore alla media nazionale del +6,2%. Il +8,8% registrato nei mesi di gennaio e febbraio 2022 è il rincaro più alto per abbigliamento e calzature dal gennaio 2006. Il timore, manco a dirlo, è che l’effetto sui consumi sia negativo.
Shopping a Londra, foto Shutterstock
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