“Penso che si debba smettere di dire che l’Italia è in vendita, che l’imprenditore italiano sa solo vendere. Ci sono molti esempi del contrario e noi abbiamo fatto la nostra piccola parte”. Così parlò Gildo Zegna (nella foto), ceo della griffe omonima, all’indomani dell’acquisizione del brand americano Thom Browne (nel riquadro). Una lunga intervista pubblicata ieri da L’Economia del Corriere della Sera mette nero su bianco strategie e (orgogliosi) pensieri di un brand che nel 2017 è andato vicino a 1,2 miliardi di euro di fatturato e già nel 2012 tentò la scalata a Valentino (gli andò male, vinsero gli emiri di Mayhoola). Sull’operazione, per esempio, Zegna dice che “non si tratta di un cambio di strategia, ma dell’esecuzione di una strategia che avevamo in testa, ma non avevamo mai messo sul campo” e spiega che “la gran parte è stata finanziata (400 milioni di dollari per annettersi l’85% di TB, ndr) con mezzi nostri. Avevamo cassa disponibile e ci è sembrato il modo più intelligente per farla rendere: questo è un momento in cui bisogna accelerare, non mettersi in difesa”. Una sorta di attacco al mercato tradotto nell’acquisto di una griffe, Thom Browne, “perfetta per noi: è forte nell’uomo, ma sta crescendo rapidamente nella donna. Sta lanciando gli accessori” e possiede “tante certezze e tanti cantieri aperti. Lavorare insieme sarà di stimolo all’interno del nostro gruppo”. Inevitabile l’accenno al nuovo consumatore del lusso, Millennials o meno che sia. “È un consumatore che cambia idea molto rapidamente, che vuole emozioni, che si innamora dell’ultima innovazione…”. Il tutto, contestualizzato in un “momento in cui si va semre più verso l’informale che cambia a seconda delle occasioni d’uso legate alla vita frenetica che facciamo, alla contaminazione con lo street luxury, all’enfatizzazione della personalizzazione”.
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