È anodino, Alessandro Michele (in foto da Instagram). Nel senso che, a due anni e mezzo da quando l’hanno cacciato da Gucci, non va all’attacco degli ex datori di lavoro. Ai quali, diplomaticamente, augura invece tutte le fortune del mondo. Ma di sicuro approfitta dell’intervista con il Corriere della Sera per togliersi i sassolini dalle scarpe. Perché ora che il brand ammiraglio del gruppo Kering, ancora nel mezzo di una crisi senza sbocchi, ha appena licenziato Sabato De Sarno, lui può vantare risultati eccellenti che, pure quando erano in rallentamento, erano assai superiori a quelli odierni.
Quando l’hanno cacciato da Gucci
“Quando ha lasciato Gucci cresceva ancora, anche se non come agli inizi”, osserva l’intervistatrice. “Il 18%, che oggi…”, risponde Michele. E in quei puntini sospensivi lascia intendere al lettore: risultato che oggi sarebbe accolto come un miracolo. Se non fosse chiaro, lo stilista attualmente alla guida di Valentino rivendica il merito del boom di Gucci. “Noi abbiamo inventato il turbo: l’unico brand, credo, che nelle ultime tre decadi da 3 miliardi è salito a 10 in 8 anni. Poi sono uscito…”. E ancora una volta affida ai puntini sospensivi il giudizio su quanto accaduto dall’autunno del 2022 a oggi. Quando al posto suo e del CEO Marco Bizzarri sono arrivati De Sarno (di recente giubilato, dicevamo) e Jean-François Palus (appena avvicendato con Stefano Cantino) sotto la guida di Francesca Bellettini.
Un piede nel presente
Ok, ma Michele non si è sottratto al giudizio del mercato. Perché, se da un lato può vantare risultati con Gucci che sono ormai storici, dall’altro deve ancora dimostrare di saper vendere ora che è alla guida di Valentino. Per questo, ci pare di leggere in controluce, lo stilista si dice contento del fatto che le aspettative sulle attività del lusso stanno cambiando. Quando terminò la sua esperienza in Kering perché i risultati finanziari cominciavano a zoppicare non fu a causa di “avidità singola”. “Nel senso – spiega – che viviamo in un mondo dove siamo tutti costretti e mi ci metto anch’io. Quando ci lavoravo, Gucci era un mostro a dieci teste, però credo sia un problema planetario”. Gli pare che il vento stia cambiando. “Sento che ora nella moda si sta sviluppando una grande consapevolezza – conclude – di dove siamo, di cosa sta succedendo e che il mondo dopato dell’economia abbia trovato una specie di capolinea sano”.
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