In oltre due anni, non si sono visti né soldi, né macchinari: e quello che poteva essere un buon matrimonio, diventa già un divorzio. Bagir Group, azienda israeliana del tailoring maschile, straccia il deal siglato nel novembre 2017 e trascina Shandong Ruyi in Tribunale. Il gruppo tessile si è meritato il nomignolo di “LVMH cinese” dopo la campagna di acquisizioni che l’ha portato a comprare Bally, SMCP e, tra gli altri, Aquascutum.
Né soldi, né macchinari
In principio, doveva essere una di quelle operazioni merger & acquisition che permettono alle realtà in rampa di lancio di spiccare il volo. Con un investimento di 16,5 milioni di dollari, il gruppo tessile cinese (divenuto negli anni una conglomerata del lusso) avrebbe acquisito il 53,7% di Bagir. A più di due anni dall’accordo, però, Shandong Ruyi risulterebbe in ritardo nei versamenti: avrebbe pagato solo 3,3 milioni di dollari.
Ritardi e promesse mancate
Come sintetizza just-style.com, Shandong Ruyi negli anni ha chiesto, e ottenuto, diverse dilazioni. A giugno 2019 i due (quasi) partner hanno accordato l’ultimo spostamento del closing. Condizione necessaria perché si arrivasse entro marzo 2020 all’acquisizione della quota di maggioranza da parte dei cinesi era la fornitura entro settembre di macchinari dal valore di 1,3 milioni di dollari: Bargir li avrebbe impiegati nella nuova facility in allestimento in Etiopia. Shandong Ruyi ha mancato anche questo appuntamento e l’intera operazione va a monte.
Conseguenze
“Per noi è una delusione dover annunciare azioni legali contro Shandong Ruyi, ma siamo rimasti senza alternative”, è il commento alla stampa di Micha Ronen, CEO di Bargir Group. Di certo è per Shandong Ruyi l’ennesima tegola. Sui problemi di liquidità dell’holding, generati proprio dalla dirompente stagione di acquisizioni nel lusso europeo, si rincorrono molte voci. Di fine gennaio è la notizia della sua insolvenza nei confronti di un fornitore tessile. Ora questa: due indizi fanno quasi una prova. Non a favore dei cinesi.
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