È tempo dei primi bilanci per l’incursione nella moda di Ferrari, che ha deciso di unire il proprio prestigio (nelle auto di lusso) e il proprio mito (nella Formula 1) in un fashion brand. Giacché la casa di Maranello non entra nei dettagli dei risultati finanziari dell’avventura, ci ha pensato Financial Times a farsene un’idea. E l’impressione, ahinoi, non è positiva.
L’incursione nella moda di Ferrari
Ecco, come osservano anonimi analisti con FT, già il fatto che Ferrari dal 2021 (quando ha presentato la prima collezione) non abbia mai pubblicato i risultati dettagliati della linea moda, come fanno le altre aziende quotate in Borsa, “suggerisce che gli affari non vanno bene o comunque non quanto s’aspettavano”. Dalla casa madre si dicono convinti della possibilità di trasformare in moda il potere che Ferrari ha sulla clientela di altri comparti. “Il lusso è una sola arena di competizione e tutti lottiamo per lo stesso cliente, molto discrezionale nella spesa – dice Maria Carla Liuni, chief brand officer di Ferrari –. Il mercato dei beni personali è quello più interessante: abbiamo centinaia di milioni di fan nel mondo”.
I vasi (forse non) comunicanti
Non è mica facile, riconosce il direttore creativo Rocco Iannone, trasferire in una collezione di abiti e accessori un prestigio che si è guadagnato con pistoni e carrozzeria. La prima collezione, racconta a FT, si rivolgeva ai ragazzi della Gen Z e clienti asiatici, mentre ora il brand è in progressione: “L’obiettivo è espandere il marchio oltre la fanbase. La sfida è creare una narrativa sulla storia e l’heritage, ma senza avere un archivio e una clientela consolidata”. Già, perché immaginario e clientela sono correlati, ma le quattro ruote e la moda non sono vasi comunicanti. Anzi. “Dal mio punto di vista rimane una corsa in salita? – conclude Luca Solca (Bernstein) –. Uno dei problemi è che per un brand che vende prodotti dal prezzo medio davvero alto, come Ferrari, Porsche e Bugatti, è difficile avere successo in categorie dal prezzo medio più basso senza dare l’impressione di vendere gadget”.
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