Non solo rimane al centro della scena, come da tradizione. Ma può rivelarsi, per la sua duttilità e per le infinite possibilità di lavorazione e finissaggio, adeguato alle sfide del lusso post-CRV. Ora che si parla di un fashion system concentrato più sulla qualità e la durabilità delle collezioni, più che sulla loro quantità, la pelle è già pronta. Daniele Calcaterra non ha dubbi: “I capi in pelle hanno un valore intrinseco maggiore e, di conseguenza, anche un costo al pubblico più elevato. Ma ben si prestano – ci spiega – a essere, se con volumi e colori moderni e contemporanei, capi senza tempo che devono durare, nell’armadio di chi li compra, anche per molte stagioni”.
Il futuro che rallenta
L’intervento di Calcaterra si inserisce nel dibattito sulle prospettive industriali e (oseremmo dire) antropologiche dell’alto di gamma dopo lo choc del Coronavirus. Ha sollevato per primo la questione Giorgio Armani con un appello ai colleghi affinché abbandonassero le pratiche del fast fashion. Hanno risposto in molti, se non tutti gli attori della filiera, da Dries Van Noten ad Alessandro Michele (Gucci). Al tema dedichiamo la cover story dell’ultimo magazine, dove ne parliamo, tra gli altri, con Susanna Nicoletti e Luca Solca.
Lusso post-CRV
Comunque vada, ci sarà la pelle, sostiene Calcaterra. “Sono sempre stato sostenitore di collezioni atemporali, non inclini a seguire troppo le mode e i canoni – afferma –. Non sono mai stato attirato dallo street luxury che ho sempre visto come una contraddizione. E non ho mai rinunciato a capi in pelle nelle mie collezioni, cosi come per le consulenze per altri brand, dove la pelle è sempre stata sinonimo di capi preziosi”.
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