Fatti contro chiacchiere. Quando l’associazione ambientalista PETA la scorsa estate ha preso ad acquistare azioni delle griffe del lusso per condurre “da dentro” la propria battaglia di “moralizzazione” della moda, era chiaro che si andava incontro a una stagione turbolenta. Il 31 maggio, in occasione dell’assemblea degli azionisti di Hermès a Parigi, è andato in onda il primo round. Isabelle Goetz, portavoce francese di PETA, in virtù dell’unica azione posseduta dall’associazione ambientalista ha preso la parola per chiedere alla maison francese di abbandonare l’impiego delle pelli di struzzo e di coccodrillo nelle proprie collezioni. Negli ultimi 12 mesi PETA ha realizzato due video-denunce sui metodi di lavoro di alcuni fornitori di Africa e Stati Uniti della griffe. Le accuse hanno causato a Hermès alcuni grattacapi, come l’assai mediatica incertezza dell’attrice Jane Birkin sull’opportunità di continuare a dare il proprio nome alla borsa che da trent’anni la unisce a Hermès (la donna dello spettacolo non ha poi interrotto il sodalizio). L’amministratore delegato di Hermès, Axel Dumas, ha risposto a PETA con buon senso. “Ci assumiamo la piena responsabilità delle partnership che stringiamo – le sue parole riportate dalla stampa – ma non abbiamo un solo fornitore. Ai nostri suppliers, sottoposti a periodiche verifiche, chiediamo di attenersi non solo alle leggi internazionali, ma al nostro codice, che è molto stringente”. Insomma, Hermès non fa passi indietro e non vuole farsi insegnare il mestiere da nessuno. PETA possiede anche azioni di Prada. (rp)
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