Due episodi, a breve distanza di tempo l’uno dall’altro, molto simili per la dinamica. L’ultima gaffe è capitata a Katy Perry, che con il suo brand di moda, lanciato sul mercato nel 2017, ha presentato due modelli di decolleté in pelle nera con occhi azzurri e una carnosa bocca con rossetto. Apriti cielo: sui social è partita una campagna per chiedere conto alla cantante statunitense di una tale evocazione della “blackface”, la rappresentazione stereotipata del volto di una persona di colore. Katy Perry è corsa al riparo, ritirando i modelli contestati dagli store. Non è andata meglio a Gucci, colpevole di aver presentato un maglione dal collo alto risvoltabile. Qual è il problema? Che anche questo capo presenta le labbra carnose, che, in abbinamento al colore nero, sono viste come un riferimento agli stereotipi visivi dei tempi che furono. Ne è sortita una polemica talmente furibonda che il pluri-premiato regista Spike Lee ha promesso in pubblico di non indossare mai più capi Gucci. E dire che il brand diretto da Alessandro Michele, rilanciando ad esempio il designer cult Dapper Dan, ha dato negli anni più di una prova di inclusività.
Il precedente USA
Per il pubblico USA la questione blackface è molto sentita. Lo dimostrano le stesse parole di Spike Lee: il regista, in lizza per i prossimi Oscar, ha detto che sono due le griffe nel suo mirino: una è Gucci, ok; l’altra è Prada, responsabile di un incidente simile lo scorso autunno. Il marchio guidato da Miuccia e il marito Patrizio Bertelli adesso affida ad Ava DuVernay (regista) e Theaster Gates (artista visuale) la direzione del gruppo di lavoro per l’inclusività.
I guai cinesi
Per le griffe del lusso la comunicazione è tutto. Lo sanno bene ai piani alti di Dolce & Gabbana, che lo scorso novembre su una campagna pubblicitaria sbagliata si è giocata anni di penetrazione commerciale in Cina. Per evitare che si ripetano errori del genere, il brand milanese ha di recente affidato al pubblicitario Fabio Teodori la responsabilità della comunicazione integrata delle varie divisioni internazionali del gruppo. Ma che la Repubblica Popolare possa essere un campo minato se n’è accorta anche Burberry, a sua volta molto criticata per uno shooting promozionale che, nelle intenzioni, avrebbe dovuto celebrare il senso cinese della famiglia, ma che nella resa ha suscitato più di un mal di pancia.