Chanel rivendica di nuovo l’aumento dei prezzi. Gli analisti plaudono ai ritocchi di listino di Hermès. Ma rimproverano a Gucci di averli portati troppo in su, finendo in un cono d’ombra tra premium e lusso. La moda spinge verso l’alto per mettere al riparo i margini in questo 2024 difficile per i volumi. Ma proprio per questo tenere in equilibrio il rapporto prezzo/posizionamento è fondamentale. Specie alla luce delle incertezze del mercato cinese, tra i più abbienti ma, a quanto pare, intenzionato a tirare il freno.
Chi se lo può permettere
L’analista Thomas Chauvet spiega perché l’aumento dei prezzi fa bene ad Hermès: per ragioni contabili. Considerato che la produzione di pelletteria della griffe cresce del 7% ogni anno, nel 2024 i ricavi complessivi potrebbero risentire di un appiattimento delle entrate provenienti dai prodotti non in pelle (orologi, gioielli, abbigliamento, ed altro). “Tuttavia – scrive Chauvet – il pricing (+7% nel 2023 e +8-9% nel 2024) dovrebbe limitare i rischi di ribasso dei ricavi”. Chanel vuole ripercorrere le orme di Hermès e, di fatti, sta alzando continuamente i prezzi, al punto che alcune sue borse hanno raggiunto i 10.000 euro di valore. Un mese fa è stato il presidente della divisione fashion Bruno Pavlovsky a spiegare perché i prezzi aumentano. Questa volta è la CEO di Chanel Leena Nair a ribadire a Bloomberg il concetto: “Utilizziamo materie prime pregiate e la nostra produzione è molto rigorosa, laboriosa e artigianale. Quindi aumentiamo i prezzi in base all’inflazione”. Nair ha anche ribadito che l’azienda non ha in programma la quotazione.
La delicatezza del rapporto prezzo/posizionamento
Ma griffe come Hermès e Chanel hanno un elevato potere di determinazione dei prezzi: sono in cima alla piramide del lusso. Chi non si trova nella stessa condizione non può esercitare lo stesso potere. È il caso di Gucci, specie in Cina. Lo ha confessato la CFO di Kering Armelle Poulou: “Il mercato cinese è abbastanza polarizzato tra l’appetito dei clienti per prodotti di fascia alta o più convenienti. Gucci, più posizionato nel mezzo, non trae vantaggio da questa polarizzazione”. È il cliente cinese a determinare il successo o l’insuccesso dei marchi, che registrano performance tanto contrastanti. Come fa notare Bernstein, i ricavi cinesi di LVMH sono aumentati del 10% nel primo trimestre 2024. Mentre le vendite retail sono scese del 19% in Asia per Kering e del 28% per Gucci. La Cina ha trascinato al rialzo Brunello Cucinelli. Bernstein vede una “normalizzazione del mercato e del cambiamento dei modelli di viaggio e di un contesto economico più debole”. (mv)
Foto da Facebook
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