Simons e Prada prevedono il boom (e bocciano il “lusso lento”)

Simons e Prada prevedono il boom (e bocciano il “lusso lento”)

Parlano di design, certo: sono due stilisti ed è chiaro che l’accento sia sul mood dell’ultima collezione Uomo presentata a Milano. Ma nella conversazione di Miuccia Prada e Raf Simons con il New York Times ci sono anche altri spunti interessanti, di natura economica e di prospettiva futura. Perché i due, guardandosi intorno, già prevedono il boom del fashion che seguirà la fine del coronavirus. E mostrano tutte le loro perplessità (specie Miuccia) sul cosiddetto “lusso lento”. Cioè sull’idea che l’alto di gamma debba rinunciare a uscite e collezioni per ritrovare un nuovo equilibrio al ribasso sui volumi. E al rialzo in qualità, auspicabilmente.

Prevedono il boom

Innanzitutto, le aspettative sulla ripresa. “Penso che quando la pandemia sarà finita, le persone avranno davvero voglia di riprendersi le proprie vite – dice Miuccia (nella foto a destra, tratta dallo screenshot della pagina web di NYT) a Vanessa Friedman, fashion director del NYT –. Ne vediamo già le avvisaglie. In Cina spendono come pazzi. Anche in America. A Milano c’è un boom, come durante il proibizionismo. Ci sono party incredibili”. “Se la storia si ripete, e spesso si ripete, siamo come negli anni ’20 – aggiunge Simons –. Sappiamo come sono stati gli anni ’20: un boom del fashion, della vita sociale, del sesso. C’è la possibilità che sarà un boom esuberante. Ma può essere pericolosamente esplosivo. Tutti vogliono recuperare. C’è una lezione che la moda non imparerà, proprio quella che dovrebbe fare sua, a essere onesti: cioè che dovrebbe essere meno avida”.

Il lusso lento

Qui si vede che nel punto di vista dei due, che ora collaborano per lo stile di Prada, c’è una piccola discrepanza. C’entrerà che Miuccia, che è anche la moglie di Patrizio Bertelli, cioè del CEO dell’azienda, è abituata a pensare anche agli aspetti finanziari del suo lavoro. Mentre Simons, da designer puro, preferisce avere un approccio astratto alla questione. Fatto sta che il secondo, ripescando il dibattito primaverile sul “lusso lento”, si dimostra possibilista. La moda “è diventata una macchina economica – argomenta –. Per i più, il primo obiettivo è la crescita economica. Tutti hanno visto minor crescita, quindi tutti proveranno a rimediare. E non lo puoi fare solo con una o due collezioni l’anno. Il pubblico ora è più interessato alla superficie che alla profondità del fashion. La moda è diventata pop e ora vince chi urla più forte, non chi parla in modo più intelligente”.

Ma chi pensa ai posti di lavoro?

Miuccia Prada, però, riporta il discorso nel tema della responsabilità sociale. “Criticano le aziende della moda perché fanno troppo, ma noi stilisti siamo giudicati per i soldi che facciamo. Ho sentito dire quel designer è terribile, ma vende molto, vuol dire che c’è qualcosa di buono. Negli ultimi anni i nostri numeri non erano così positivi e in ogni discussione era questo il punto. Quindi se si vuole sopravvivere, con tutta la responsabilità sui dipendenti, dubito si possa fare di meno. Siamo in un sistema capitalistico. È facile dire consuma meno, produci meno, ma poi dobbiamo essere pronti a perdere posti di lavoro”.

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