Ripescare dagli archivi. Guardare alle collezioni del passato, prossimo o remoto. Riproporre modelli che, anche causa pandemia, languono in magazzino. Si sta affermando la circolarità (delle idee e dei prodotti) che serve alle griffe. Nel senso quella che le è più utile, meno retorica e, anche a costo di essere furbetta, più direzionata alla pragmatismo. La pandemia ha bloccato i consumi, da un lato. Dall’altro si è imposto un dibattito, animato da Giorgio Armani in primis, sul rapporto tra lusso e fast fashion. In passerella, notano gli osservatori, si è vista la risposta del fashion system.
Ripescare dagli archivi
“Coach ha annunciato che in occasione della presentazione della collezione SS 2021 (in digitale il 22 settembre) – osservano da thedailybeast.com –, i nuovi pezzi di Stuart Vevers saranno abbinati a modelli da collezioni passate”. L’esperimento va letto insieme alla “sfilata della collezione cruise di Balmain”, dove in passerella si è portato “il lavoro di ciascun stilista del marchio, dal fondatore Pierre Balmain all’attuale direttore creativo Olivier Rousteing”, senza che ci fosse spazio per “un solo nuovo capo di abbigliamento”. Vogliamo banalizzare il processo? Lo si può definire uno svuota tutto, di idee e di stock. Ma, dietro la lettura utilitarista più greve, ce ne sono altre di tipo strategico. L’approccio si può ritenere “più sostenibile – riconosce la testata statunitense –, perché incoraggia i consumatori a fare acquisti di capi vintage e a investire in pezzi più duraturi”. Non solo: si pone “come un freno all’ossessione dell’intera industria per la novità”.
Dare fiato al sistema
“La pandemia ha messo in luce che il ciclo costante di creazioni e novità ha saturato il fashion system e bruciato i professionisti del settore – si legge nella traduzione di Dagospia –. Le collezioni d’archivio sono viste come un modo per contrastare questo effetto: offrono ai clienti ciò che vogliono e concedono ai designer una pausa dall’urgenza di creare 50 nuove idee a stagione, una parte delle quali non arriverà mai nemmeno in negozio”. Non va sottovalutato l’effetto fidelizzazione: reinterpretare l’archivio di una griffe vuol dire rivitalizzare la sua storia. “La moda vintage si lega al movimento sostenibile – commenta Julie Ann Clauss, fondatrice di The Wardrobe –. Non c’è motivo per cui non possiamo includere capi del passato nella stagione in corso: è molto più sostenibile che acquistare ogni volta un guardaroba completamente nuovo che viene smaltito dopo solo sei mesi. Soprattutto – conclude – se quel guardaroba proviene da una catena di fast fashion”.
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