Tra experience, disruption e big data: la Luxury Conference Condè Nast di Lisbona esplora la lingua che dovrebbe parlare il lusso

L’evento è giunto alla quarta edizione, lo organizza il colosso dell’editoria fashion Condè Nast International, il deus ex machina è il suo editor Suzy Menkes. È iniziato ieri e si conclude oggi a Lisbona e, attraverso un ricco programma di interventi, interviste e testimonianze approfondisce il tema utilizzato come titolo: The Language of Luxury. Obiettivo ambizioso, ma necessario, data la profonda rivoluzione in corso, con il mondo digitale che sta ribaltando strategie, identità, tempistiche produttive e commerciali. In estrema sintesi (e senza grande stupore) due sono state le parole chiave emerse come denominatore comune: experience e disruption. Il lusso, prima di “vendere” deve accogliere il consumatore nel suo mondo. Deve cioè sganciarsi dall’idea commerciale del prodotto, ed entrare in quella di proporre l’ingresso in “un’esperienza inclusiva”. E poi deve continuamente porsi domande su come cambiare, come immaginarsi, come rompere i propri schemi mentali, quindi essere (oramai aggettivo abusato…) “disruptive”. Se i Millennials, come ha spiegato nel suo intervento Michele Norsa (ex ceo Ferragamo) “restano l’obiettivo di tutti i brand, ma rimangono una generazione misteriosa, dai confini anagrafici poco chiari e che ognuno interpreta a modo suo”, il mondo digitale impone al lusso nuovi codici. Li ha spiegati, in particolare, Federico Marchetti, ceo di YNAP, arrivando a parlare di “intelligenza artificiale e big data” in funzione della “personalizzazione assoluta dell’esperienza di acquisto online”. Un mondo che corre a velocità spasmodica e deve confrontarsi con l’arte della creazione, che richiede “tempo – dice Giambattista Valli, designer fondatore dell’omonimo brand, – per poter raggiungere in qualsiasi occasione l’excellence” e che impone cura “artigianale nei minimi dettagli” racconta Christian Louboutin in un breve, ma efficace elogio del made in Italy che sta alla base delle sue calzature e degli artigiani capaci “di sviluppare l’incredibile complessità progettuale di un modello, fatta di dettagli minimi, dai materiali ad accessori e componenti”. Innovazione e tradizione, digitalizzazione e artigianalità: mondi distanti, ma che devono convivere, rispettando l’imperativo dichiarato da Maria Grazia Chiuri, direttore creativo di maison Dior: “Fondamentale è la coerenza del messaggio stilistico e del linguaggio di una griffe, in ogni suo aspetto, dalla sfilata al concept delle boutique”.  (lf)

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