“Hermès può gestire la sua attività come vuole. E se molti dei suoi clienti non sono in grado di avere una borsa Birkin non è un problema di antitrust”. Lo ha affermato il giudice statunitense James Donato, che sta esaminando le querele contro il tying di Hermès (cioè le pratiche scorrette, secondo l’accusa, per “costringere” i clienti a fidelizzarsi).
L’accusa
I tre querelanti, scrive Reuters, hanno presentato la terza denuncia alla corte federale di San Francisco contro Hermès, integrando nuove accuse e ulteriori dettagli per controbattere alla richiesta di archiviazione del caso della griffe francese. I querelanti insistono nel sostenere che è possibile acquistare una borsa Birkin solo se il cliente ha una “cronologia di acquisti sufficiente”. Per cui, secondo la querela, Hermès sta violando la legge antitrust statunitense perché per acquistare un prodotto il cliente deve prima comprarne altri. In questa terza querela sono presenti anche reclami per pubblicità ingannevole e frode. Lo scrive l’agenzia Reuters.
Il tying di Hermès
Secondo Hermès le affermazioni dei querelanti sono “inverosimili”. L’azienda sostiene di operare correttamente e senza nessun illecito. Il giudice distrettuale statunitense James Donato sta dando ragione a quest’ultima. “Hermès può gestire la sua attività come vuole. Se sceglie di produrre cinque borse Birkin all’anno e di farle pagare un milione, può farlo”. Secondo la toga la presunta condotta di Hermès potrebbe addirittura rafforzare la concorrenza: “Se Hermès fa pagare una fortuna per la sua borsa, sta lasciando campo libero alla concorrenza che potrebbe dire: Vieni da noi e prendi la nostra bellissima borsa: non dovrai comprare cinture dal valore di 3.000 o 30.000 dollari”. (mv)
In foto, d’archivio, una rarissima Birkin Himalaya
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