Siamo alla vigilia del Liberation Day, come l’amministrazione Trump ha definito il 2 aprile. Il giorno in cui, cioè, l’imposizione delle barriere doganali all’import “libererà” gli USA dalle ingiustizie che soffre nelle relazioni con i partner commerciali (come sostiene il presidente, in foto). Come si sostanzierà la trade war non è ancora noto. Al momento la prospettiva è di un dazio al 20% su merci europee (per un valore di 540 miliardi l’anno di importazioni) che si aggiunge a quello del 25% già in vigore su allumino e acciaio e a quello del 25% sulle auto che subentra da giovedì 3 aprile. È tramontata, invece, l’ipotesi di un sistema duale con misure più severe per i Paesi ostili ed esenzioni per quelli amici. L’incertezza non aiuta, anzi inietta sfiducia nelle Borse. È una cornice dove ci si prepara a tutto (prevalentemente al peggio).
La vigilia del Liberation Day
In Borsa vige la sfiducia, dicevamo, e ne risentono i titoli del lusso (tutti o quasi) già da mesi. “I dubbi crescenti riguardo l’economia americana sono motivo di debolezza – commenta Luca Solca di Bernstein –. Il rischio che il mercato vede è quello di una ripresa della inflazione a seguito dell’aumento dei dazi alle importazioni”. Il tema della fiducia in via di deterioramento riguarda, of course, tutte le aziende, non solo quelle quotate. “L’impatto dei dazi è incalcolabile finché non avremo i dettagli, ma più ci avviciniamo, più la triste sensazione è che colpiranno in modo trasversale tutti i prodotti – commenta Barbara Cimmino (gruppo Yamamay), vicepresidente di Confindustria con delega all’export, con la Repubblica –. Il settore della moda italiano è uno dei più esposti, insieme a farmaceutica, alimentare e automotive. Per il nostro export sarebbe un duro colpo, il mercato americano è insostituibile, ma lo sarebbe anche per le catene commerciali americane che vendono made in Italy: questo è il paradosso”.
Le conseguenze attese e già verificate
L’obiettivo della guerra commerciale di Trump è rafforzare l’economia e la manifattura americane. Il fatto che la multinazionale Lear, per il resto impegnata in un drastico piano di riduzione dei costi e di taglio del personale, stia considerando la possibilità di investire negli States sembra dargli ragione. Ma le conseguenze della trade war sono più sfaccettate. Matt Priest, presidente di FDRA (associazione dei retailer calzaturieri statunitensi), racconta a Footwear News che la fiducia degli imprenditori è (letteralmente) sotto i tacchi: il sondaggio trimestrale sul sentiment del mercato riporta uno dei risultati più bassi di sempre. Mentre Global Blue, società attiva nei pagamenti esenti da IVA, sostiene che le barriere doganali potrebbero verosimilmente spingere i consumatori statunitensi a fare shopping in Europa.
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