Correva l’anno 2000, mese di dicembre, e il Brasile riteneva giunto il momento di “tutelare” la propria industria conciaria. Come? Entrando nel “club dei protezionisti”, imponendo un dazio del 9% sulle esportazioni di wet blue. Volevano fare in modo che le concerie locali (loro la spinta lobbystica sul governo per ottenere la tassa) potenziassero il proprio impegno produttivo sul finito. Dopo 15 anni, un momentaneo abbassamento al 7%, insistenti minacce di alzarlo al 22%, ecco improvvisamente giungere da Rio una notizia che ribalta completamente l’orizzonte. Josè Fernando Bello, presidente CICB (l’associazione brasiliana che rappresenta il settore conciario) avrebbe dichiarato che “uno dei prossimi e fondamentali passi per il nostro settore conciario sarà quello di convincere il governo ad azzerare il dazio sul wet blue”. La ragione? Praticamente la stessa che ha portato ad erigerlo: sviluppare la produzione di finito. Sembrerebbe che di colpo i brasiliani abbiano capito che il libero mercato è più utile a un settore industriale per reperire le risorse finanziarie necessarie al suo miglioramento tecnologico e qualitativo. La domanda ora è inevitabile: lo abbatteranno davvero?
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