L’effetto Coronavirus sugli affari internazionali della materia prima conciaria statunitense si vede, eccome se si vede. L’export di pelle USA non lavorata o semi-lavorata nel periodo gennaio-maggio 2020 crolla verso tutte le destinazioni principali. L’associazione che rappresenta trader e conciatori degli Stati Uniti (LHCA) riporta, però, segnali distensivi dall’autorità doganale cinese.
L’export di pelle USA
E, dunque, l’export di wet blue statunitense nei primi 5 mesi del 2020 ha ceduto il 24% in valore e il 23% in volume su base annua. Si riducono di circa un quarto gli acquisti dei principali clienti del materiale. Il fatturato del semilavorato USA in Italia arretra del 29%, in relazione al calo del 26% in quantità, mentre Cina e Hong Kong, insieme, fanno rispettivamente -26% e -25%. Le uniche note positive arrivano da Messico e Tailandia. Non vanno meglio le bovine sotto sale: l’export complessivo perde il 31% in valore e il 24% in volume.
Distensione cinese
Aveva suscitato grande agitazione l’informazione che le autorità doganali cinesi chiedessero ai trader USA certificati sanitari relativi al Coronavirus. Trattando la materia prima conciaria alla pari dei prodotti alimentari, la Repubblica Popolare pretendeva documenti che ne attestassero la qualità di materiali “covid-free”. La novità non piaceva perché prometteva di trasformarsi in una trappola burocratica. Dall’U.S. Animal and Plant Health Inspection Service arrivano buone notizie. L’obbligo, riporta LHCA, è già stato rimosso.
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