Ricavare il DNA dell’animale alla fattoria, così da poterne seguire la pelle all’arrivo in conceria; eseguire ancora test in fase di wet blue e di spaccatura della pelle; infine recuperare il DNA quando il materiale è finito, così da assicurarne la riconoscibilità al termine della lavorazione. A un anno dall’inizio del progetto, il consorzio di ricerca composto dalla britannica BLC – Leather Technology Centre e dalla statunitense Applied DNA Sciences comunica che la prima fase di sperimentazione ha raggiunto i risultati sperati: l’idea di tracciare i pellami lungo tutta la filiera produttiva grazie al DNA è possibile. Con una nota ufficiale Victoria Addy, direttore tecnico di BLC, commenta: “Il potenziale di questa tecnologia per aiutare l’intera filiera della pelle a raggiungere la completa tracciabilità non va sottovalutato: cercheremo nuovi sponsor per introdurre lo strumento nella manifattura”. Del consorzio di ricerca fanno parte anche 2 concerie (Scottish Leather Group and Tong Hong Tanneries), 5 brand (tra cui PUMA) e una ONG, National Wildlife Federation (NWF). Un bel progetto sulla carta, la cui potenziale fattibilità si scontra con la necessità e la difficoltà di reperire le informazioni a monte della filiera.
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