Poca merce sul mercato domestico, specie per quanto riguarda le bovine, e prezzi troppo alti. Per questo la concia argentina chiede al governo lo stop all’export di materia prima. Il sindacato FATICA riconosce che nel 2020 tra le conseguenze della pandemia ci sia stato il cortocircuito sull’asse carne-pelle. All’alta produzione dei macelli, che non hanno mai smesso di rifornire il mercato alimentare, hanno fatto fronte i bassi livelli di lavoro dei bottali, che invece vedevano la domanda di pelle finita calare. Questo giustificava le misure di liberalizzazione dell’export adottate a Buenos Aires. Ma ora, lamenta FATICA, il rapporto tra zootecnia e pelle si è riequilibrato. Per questo pretende che si torni ai veti pre-esistenti.
La concia argentina
Nel 2020 l’Argentina ha esportato 4,2 milioni di pelli grezze, cioè circa il 35% della produzione totale. “E questo ha dato sollievo ai macelli – si legge su Cuero America –, che si trovavano i depositi refrigerati pieni di stock”. La Casa Rosada, dicevamo, per sbloccare la situazione ha approvato un pacchetto di defiscalizzazioni provvisorie all’export della materia prima conciaria. Il problema, secondo FATICA, è che il pacchetto, varato come risposta a un’emergenza, è ancora in vigore quando la stessa emergenza è terminata. “Si è creata una gravissima situazione – sostengono – lungo tutta la filiera della pelle che mette a repentaglio migliaia di posti di lavoro”. Ne soffrirebbero, a loro dire, anche pelletterie e calzaturifici.
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