L’aneddoto arriva dall’Australia, dove Jason Gordon, allevatore di pecore nello stato di Victoria, è disperato: “Ora mi devo assumere il costo di smaltire le pelli in discarica – si sfoga con ABC Rural –. Fino a qualche anno fa me le pagavano più di 30 dollari australiani l’una”. Ma la vicenda è una lezione per i sedicenti ecologisti di tutto il mondo, perché il mercato della materia prima conciaria australiano è in rallentamento a causa della pressione dei materiali alternativi, propagandati come green: “Non capisco come ci si possa considerare ambientalisti – si chiede Gordon – quando preferisci tessuti sintetici, per i quali si è estratto petrolio, mentre si seppelliscono in una fossa le pelli naturali”.
Senza concia bisogna smaltire le pelli
Chi conosce un minimo i meccanismi della filiera non si stupisce. Perché sa bene che la pelle è un sottoprodotto della zootecnia destinato alla discarica se non lavorato in conceria. Sono in tanti, però, a credere (e a voler far credere) che se non si impiegano le pelli nella moda o nel design si influenza in qualche modo l’industria della carne. E no: si sabota invece una filiera circolare e si trasforma una risorsa in un costoso rifiuto. “Buttiamo un bene che potrebbe tornare tanto utile”, chiosa Gordon, che si è messo in proprio a conciare alcune delle sue pelli, pur di non vederle in discarica. Dalla filiera australiana della pelle spiegano ad ABC che i problemi sono due. Innanzitutto, la domanda è depressa, inclusa quella della lana, un altro materiale naturale demonizzato a favore delle alternative sintetiche. E poi le aziende devono fronteggiare una stagione di costi crescenti. La filiera della carne, dal canto suo, prova a circoscrivere le proporzioni del problema: è al massimo il 15% delle pelli grezze a finire in discarica, dicono. Il monito rimane: fosse anche solo il 15% delle pelli, è uno spreco enorme in nome di un ambientalismo di facciata.
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