A Turchia e India i dazi non piacciono più. Più convincente di qualsiasi tavola rotonda, di qualsiasi operazione di moral suasion, di qualsiasi dotto editoriale, è la crisi. Il calo della domanda di pellami finiti spinge alcune filiere, fino a qui arroccate in comode posizioni protezionistiche, a rivedere le proprie priorità. È il caso di Ankara e New Delhi.
A Turchia e India i dazi non piacciono più
Gli operatori turchi della filiera della pelle chiedono al governo di rimuovere i dazi sull’export delle wet blue bovine e delle piclate ovine. Come riporta Leatherbiz, al momento sulla prima categoria di prodotto vige un’imposta al 40%, mentre sulla seconda si applica una tassa di 500 dollari per tonnellata. Ora che la domanda domestica langue, e che magari dai mercati esteri si può drenare qualche risorsa in più, gli operatori turchi pretendono l’abolizione della barriera doganale. O, per lo meno, l’abbassamento.
Ricetta indiana
Ancora più complessa è la situazione indiana. Qui, alle difficoltà macro del mercato globale della pelle si sovrappongono le tensioni della filiera nazionale. Per questo Council for Leather Exports, l’agenzia che si occupa del sostegno all’internazionalizzazione delle imprese, chiede al governo Modi un pacchetto di misure a favore dei fabbricanti di prodotto finito. Quali? Liberalizzazione dell’import di materia prima e sostegno all’export, già nella prossima legge di Bilancio. Chissà che ne pensano a Nuova Delhi.
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