La fine del 2020 aveva aperto alcuni spiragli di speranza. I primi mesi 2021, però, hanno riportato la congiuntura della pelle davanti a un orizzonte nuovamente opaco e ancor più complicato. Le preoccupazioni conciarie, a livello globale e nel particolare del settore italiano, sono altissime. Anche perché, sul fronte della materia prima (a differenza di alcuni riscontri di inizio anno, valutati a confronto con quotazioni prepandemiche), i listini sono entrati in una fase di pressione estremamente sostenuta. Sono aumentati (e aumentano) in modo pressoché irragionevole a fronte di concerie con lavoro bloccato e clienti che hanno diminuito in modo sostanziale la domanda. L’allarme è, dunque, di estrema attualità.
Allarme prezzi per la materia prima
In base all’indice dei prezzi elaborato dal Servizio Economico UNIC – Concerie Italiane, i prezzi della materia vivono una situazione di estrema tensione. Per esempio, le pelli bovine medio-grandi (vitellame, vacche e tori) crescono senza sosta da 8 mesi e da inizio 2021 i loro listini, in media, sono aumentati del 13%. Attenzione, però: nel confronto con 6 mesi fa la crescita è tripla. Arriva, cioè, a toccare il +36%. Su tutti, spicca negativamente il toro: +23% tra febbraio e marzo 2021, +35% su fine 2020 e, addirittura, +96% rispetto a sei mesi. In altre parole: il doppio. Simile il trend delle vacche i cui listini, nell’ultimo semestre, sono cresciuti del 70%.
Il vitellame e le ovine
Per quanto riguarda il vitellame, gli aumenti sono ugualmente sostenuti, ma meno esplosivi: +23% in media su sei mesi fa, +9% da inizio 2021. Non generalizzabile la tendenza della materia prima ovina. In altre parole: se alcune origini non mostrano particolari oscillazioni (come quelle oceaniche), altre sono cresciute moltissimo. Per esempio, le spagnole: +70% rispetto a sei mesi fa. C’è di “peggio”. In un contesto congiunturale così depresso, ci sono pelli che hanno raggiunto picchi di aumenti maggiori, come il wet blue brasiliano: +122% rispetto alle quotazioni risalenti all’estate 2020.
Preoccupazioni conciarie
Le dinamiche della domanda, come detto, non giustificano questi aumenti. La pelle italiana ha chiuso il 2020 con un fatturato annuo settoriale in calo del 26% e un export che ha segnato il -26,9%. E, ora, si trova, dal lato delle forniture (comprese quelle chimiche) alle prese con una destabilizzante tensione all’aumento che rischia di inibire qualsiasi potenziale ipotesi di (faticosa) ripartenza. Anche perché, dal lato delle possibili giustificazioni di questa allarmante impennata dei listini, quella più citata, il calo delle macellazioni, non sembra sufficiente.
Le macellazioni
Come dimostra una rilevazione UNIC (i dati disponibili più recenti arrivano a gennaio 2021, ndr), alcune importanti piazze di approvvigionamento stanno affrontando un calo di produzione al macello, ma non così estremo. Per esempio: le macellazioni bovine in Francia a gennaio 2021 hanno perso l’11% sul mese precedente e (solo) il 7% rispetto a gennaio 2020. Ancora meno negli USA: -2% su dicembre 2020 e -6% su base annua. In Australia a gennaio si è macellato di più rispetto a dicembre (+4%), mentre rispetto a 12 mesi prima la percentuale è -7%. Più sostenuta la dinamica in Irlanda: -18% gennaio 2021 su gennaio 2020, -7% rispetto a dicembre 2020.
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