Almeno il 60% della materia prima conciaria prodotta in Zimbabwe è destinata a marcire, perché il Paese non applica politiche per l’export né è dotato di una manifattura che sappia lavorarle. Per questo l’associazione nazionale dell’industria zootecnica (LMAC) chiede al governo di rivedere il dazio sull’esportazione delle pelli. “La misura fu adottata per favorire la concia locale e far crescere l’export di pelli finite – spiega un funzionario LMAC alla stampa locale –, ma l’area pelle dello Zimbabwe è strutturata per lavorare le pelli grandi, così quelle piccole e medie rimangono senza domanda”. Un altro dato per comprendere le proporzioni del fenomeno arriva dall’ufficio di Statistica del Paese: nel periodo gennaio-agosto 2017 lo Zimbabwe ha esportato 900 tonnellate di pelli, mentre la capacità produttiva annua di materia prima conciaria è stimata intorno alle 5.000 tonnellate. Quello del protezionismo dello Zimbabwe è un problema che si protrae da tempo. LMAC suggerisce due opzioni per uscire dall’impasse: un ampio piano di investimenti industriali con sostegno pubblico-privato per espandere la produttività della concia nazionale, o (più semplicemente) la riapertura all’export.
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