Il modello AM4LDN, dedicato a Londra, è messo in commercio oggi. Seguiranno le sneaker Adidas dedicate a Parigi, Los Angeles, New York, Tokyo e Shanghai. Il filo conduttore è che sono calzature fabbricate secondo il modello Speedfactory. Il futuro è adesso, l’automazione totale è qui. Almeno per Adidas. Lo stabilimento di Atlanta (USA) sarà pronto entro la fine dell’anno. Al momento, l’unica Speedfactory è quella bavarese da 4.600 metri quadrati, ad un’ora di distanza dal villaggio dove Adi Dassler fondò Adidas dopo la prima guerra mondiale. I due impianti sono concepiti per avere una produttività da un milione di paia, ma Adidas ha confermato di considerare “seriamente” una terza opzione geografica, che include anche Londra. La conferma arriva da Gerd Manz e Ulrich Seindorf, il primo vice presidente a capo delle innovazioni tecnologiche, il secondo direttore della manifattura Adidas. I due funzionari del gigante tedesco hanno spiegato alla stampa statunitense che il ciclo produttivo asiatico dura 60-90 giorni, quello della Speedfactory appena uno. Il segreto risiede anche nella tecnica Primeknit, che non richiede assemblaggio della tomaia, che è interamente creata da un filo, come se fosse lavorata a maglia. La Speedfactory consente flessibilità produttiva al punto da poter creare anche un solo paio di sneaker personalizzate ed assolutamente uniche. E, naturalmente, minimizza l’intervento dell’operaio. Ma non si parli di crisi alle porte per il calzaturiero asiatico. Un recente rapporto di Morgan Stanley valuta che tra cinque anni il 90% delle scarpe sarà ancora prodotto in Asia, mentre lo stesso ceo di Adidas, Kasper Rorsted, ha dichiarato recentemente al Financial Times che “il reshoring è una mera illusione”. Al momento nelle fabbriche asiatiche che lavorano per l’azienda tedesca viene assemblato il 97% di paia delle 360 milioni prodotte annualmente. (pt)
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