“Progettata per avere le stesse performance del vero materiale, ma senza usare alcun prodotto animale”. E no, caro Dr. Martens, non funziona così. Nel senso che non è lecito, né tanto meno corretto verso i consumatori, usare queste parole per descrivere il “Vegan Leather”: dovreste sapere, anche lì in Inghilterra, che se il prodotto non deriva proprio dalla lavorazione di spoglie animali, pelle non è e pelle non si può definire. Alla lista dei reprobi dell’etichettatura, dunque, si aggiunge anche il nome di Dr. Martens, brand britannico divenuto cult per i suoi stivaletti. Nella pagina del portale web in cui illustra tutti i materiali utilizzati per le tomaie (nappa, scamosciato, pieno fiore e via discorrendo), Dr. Martens ci infila il succitato “Vegan Leather”: un’acrobazia linguistica, purtroppo non nuova, di quelle che menano il cliente per il naso accostando al prestigio e alla qualità della pelle un prodotto che non ha nessuna delle due. A Dr. Martens, che oltretutto nelle schede tecniche dei singoli modelli sa usare le parole giuste (“materiale sintetico”), il vegan non porta fortuna: la scorsa estate ha dovuto ritirare una partita di calzature prodotte in Vietnam. Meglio che lasci perdere.
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