È il miglior format possibile oggi, giocoforza. Ma non basta a rimpiazzare i defilé: al NYT mancano le vere fashion week. “Non avrei mai pensato di scrivere queste parole – riconosce Vanessa Friedman, fashion director del New York Times –. Sono tra quelli che si sono molto lamentati degli sprechi delle fashion week. Ma, in tutta onestà, ridatemi le sfilate”.
Al NYT mancano le vere fashion week
“Dopo tre giorni seduta al tavolo da pranzo, guardando una sorta di Quibi (servizio streaming on demand, ndr) della moda, ho cominciato a interrogarmi”. Non basta la regia di Matteo Garrone per i contenuti multimediali di Dior. Né l’ingaggio di Carice van Houten, attrice consacrata da Game of Thrones, per rendere più interessante la presentazione di Iris van Harpen. Tantomeno il set della discoteca parigina Le Palace per dare smalto a Chanel. “Non risulta autentico – sostiene la giornalista –: è la copia di un’idea da un’altra disciplina creativa”. Al prodotto multimediale mancano alcuni requisiti essenziali in una fashion week: “Non c’è l’elettricità dell’evento dal vivo – continua –, con il suo sentimento condiviso di esperienza e rischio. C’è una specificità nel fashion show, il ritmo dell’ingresso e dell’uscita, il duetto tra il look e il corpo”.
Che cosa c’è da salvare
Chiaro, se le settimane della moda devono trovare una nuova identità digitale, non è per caso. È la risposta a una contingenza, quella determinata dalla pandemia di Coronavirus. Quello cui assistiamo non è uno show, bensì “una dichiarazione di intenti – afferma Friedmann –: siamo ancora qui”. Il ricorso al web, oltretutto, permette percorsi di democratizzazione. Il formato digitale rende accessibile a tutti uno spettacolo che prima era per pochi privilegiati: “Ed è una cosa buona”, chiosa la giornalista. Ma è un altro, con ogni probabilità, il punto forte degli show digitali. “Non mi sono limitata a curiosare sulle collezioni – dice a proposito di Giambattista Valli –, ma ho compreso la loro costruzione. In quel video si comprende davvero l’abito, non solo il mood”. Il discorso è riferito a Parigi, ma vale per tutti.
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