Bloomberg: i 7 errori di Donahoe, il CEO che stava rovinando Nike

Bloomberg: i 7 errori di Donahoe, il CEO che stava rovinando Nike

Bloomberg studia i 7 errori che stavano rovinando Nike. Nell’esercizio chiuso il 31 maggio 2023, il brand statunitense ha registrato il record di vendite a 51,2 miliardi di dollari. Poi il declino, con l’ormai ex CEO John Donahoe (in foto) inchiodato dai risultati deludenti. Al suo posto è arrivato un veterano del colosso dell’Oregon: Elliot Hill. Ma cosa ha provocato il tonfo di Nike e di Donahoe?

L’intervento della famiglia

Il leggendario co-fondatore Phil Knight, che insieme a suo figlio Travis controlla di fatto Nike, voleva potenziare le capacità di e-commerce del marchio. E aumentare, così, i ricavi provenienti dai negozi diretti, fisici e online. Con questo obiettivo nel 2020 ha scelto l’ex Bain ed ex eBay (e allora consulente Nike) Donahoe, nonostante la sua scarsa conoscenza del mondo dello sportswear. Una scelta che ha premiato Nike sul breve termine, ma che poi ha lasciato a terra lo “Swoosh”. Un ricco articolo di Bloomberg analizza gli attuali problemi di Nike, che sono costati il posto a Donahoe.

 

Bloomberg: i 7 errori di Donahoe, il CEO che stava rovinando NikeBloomberg: i 7 errori di Donahoe, il CEO che stava rovinando Nike

 

I 7 errori di Donahoe

1 – Per aumentare le vendite dirette, Nike ha ridotto il canale wholesale, tagliando oltre la metà dei suoi partner tra cui Amazon, Zappos, Dillard, Urban Outfitters. E ha persino ridotto le forniture al suo partner più importante negli Stati Uniti: Foot Locker. La strategia di Donahoe sembrava funzionare, fino a quando lo scaffale lasciato libero da Nike è stato occupato dai suoi competitor, vecchi (Adidas, Puma, ecc) e nuovi (On, Hoka, ecc.). Che hanno superato lo Swoosh anche sull’innovazione di prodotto;

2 – Il deciso rallentamento nell’innovazione dei prodotti. Donahoe ha preferito rischiare meno in fatto di novità. Ma verso la metà del 2023, quando le Dunk e altri modelli di punta stavano rallentando Nike non aveva valide alternative;

3 – Il rallentamento in ricerca e sviluppo, che si attribuisce in parte alla fuga di cervelli, tra licenziamenti e partenze volontarie, scatenata dalla nomina di Donahoe. Il CEO ha invece dato la colpa della mancanza di innovazione allo smart working;

4 – L’ex CEO ha elaborato un piano che prevedeva il taglio di 2 miliardi di dollari di costi, tra cui anche il licenziamento del 2% della forza lavoro. Con i licenziamenti in tutti i reparti, il team Nike si è sfaldato. In quel momento il CEO, spiega Bloomberg, non ha avuto un briciolo di quell’empatia che avrebbero avuto i suoi predecessori;

5 – Le crisi legate alla pandemia. Nel 2021 le fabbriche in Vietnam hanno chiuso per tre mesi consecutivi, fermando la produzione di un quarto delle sneaker del mondo;

6 – In Cina Nike ha dovuto affrontare sia il boicottaggio per la sua posizione sul lavoro nello Xinjiang, sia l’aumento degli acquisti nazionalistici verso marchi locali;

7 – Visto il calo delle vendite, per correre ai ripari Donahoe ha riallacciato i rapporti con alcuni rivenditori (tra cui anche Foot Locker). Ha autorizzato molte spese di marketing (vedi Olimpiadi di Parigi) ma, alla fine, non aveva prodotti nuovi da offrire ai consumatori. (mv)

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